DI FRONTE AI SOLDI SI RICONOSCE ANCHE LA FAMIGLIA DI FATTO
La Cassazione valuta l’esistenza di una famiglia di fatto per la determinazione del reddito di riferimento ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello stato.
La massima di cui parliamo, non appena venne pubblicata, ricevette grande attenzione da tutti i giornali nazionali .
I  commenti  furono variegati. Se c’era chi l’ha definita una presa di posizione politica sul tema del riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, c’è anche stato chi ha notato il contrasto di un sistema giuridico dove non si da tutela ai diritti dei conviventi di fatto ma si evidenziano i loro doveri quando le casse dello stato hanno interesse ad afferrare qualche misero soldino.
Il mondo del diritto non ha senz’altro fatto una gran figura visto che ha brillato per un silenzio assordante seppur si trattasse di una materia di certo rilievo sostanziale.
Ad ogni buon conto gli elementi che restano accertati sono due:
- la Cassazione ha di nuovo riconosciuto l’esistenza giuridica della famiglia di fatto;
- la famiglia di fatto è riferimento per determinare la base di computo del reddito usato come parametro per l’ammissione al gratuito patrocinio.
Resta quindi ancora una volta confermato che “anche in diritto esiste la famiglia di fattoâ€, si perdoni l’affermazione per il suo sembrare ironica, e ora vediamo confermato pure che per la individuazione del reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, occorre tener conto, a norma della L.30 luglio 1990 n. 217, art.3, comma 2, della somma dei redditi facenti capo all’interessato e agli altri familiari conviventi, compreso il convivente “more uxorio” (si veda anche Cass. Sez. 4, n. 13265/2004, imp. Zen, RV.228035).
Esemplificando: se Tizia convive more uxorio con Caio, senza alcun vincolo coniugale, e questi è imputato in un processo per rapina, il reddito di Tizia si sommerà a quello di Caio per determinarsi se sono rispettati o meno i requisiti reddituali per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato a favore di Caio nel processo penale.
Avv. Alberto Vigani
Cass., sez. IV pen., 5 gennaio 2006, n. 109, pres. Battisti, rel. Romis – “CONVIVENZA MORE UXORIO E GRATUITO PATROCINIO”
SENTENZA
- sul ricorso proposto da C.N., nato il … avverso ordinanza del 16/02/2004 Tribunale di Milano;
- sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROMIS VINCENZO;
- lette le conclusioni del P.G. Dr. Fraticelli M. che ha chiesto declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
OSSERVA
C.N. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Milano aveva respinto il ricorso/reclamo presentato dal C. contro il provvedimento del Giudice dell’Esecuzione di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’impugnato provvedimento, deducendo violazione di legge sotto un duplice profilo:
a) la norma richiamata dal giudice nel suo provvedimento – L. 30 luglio 1990 n. 217, art. 15 ter e succ. mod., in forza del quale, in caso di convivenza, il reddito ai fini della norma stessa e’ costituito dalla somma dei redditi di ogni componente del nucleo stabilmente convivente – troverebbe applicazione solo in relazione ai procedimenti civili e amministrativi, e non anche in sede penale, laddove, invece, lo stato di convivenza rileverebbe solo con riferimento al coniuge ed ai familiari ai sensi della L. n. 134 del 2001, art. 3, comma 2, (già L. n.217 del 1990), poi sostituito dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76 attualmente in vigore;
b) lo stato di convivenza sarebbe risultato comunque interrotto in conseguenza dei periodi di detenzione del C. e di quelli da costui trascorsi in comunità terapeutiche.
Sono poi pervenute note del difensore, con argomentazioni a sostegno della tesi prospettata con il proposto gravame.
Il ricorso deve essere rigettato perché infondato alla luce dell’orientamento delineatosi in materia nella giurisprudenza di legittimità .
Ed invero questa Corte ha già avuto modo di occuparsi della questione relativa ai limiti di reddito, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel caso di situazione di convivenza “more uxorio”; e, con riferimento a fattispecie relativa alla disciplina di cui alla L. n. 134 del 2001 (che aveva sostituito quella n. 214/1990), ha precisato che per la individuazione del reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, occorre tener conto, a norma della L.30 luglio 1990 n. 217, art.3, comma 2, della somma dei redditi facenti capo all’interessato e agli altri familiari conviventi, compreso il convivente “more uxorio” (Sez. 4, n. 13265/2004, imp. Zen, RV.228035).
Orbene, come detto, tale principio e’ stato affermato in relazione alla disciplina prevista dalla L. n. 219 del 1990 come sostituita dalla L. n. 134 del 2001, in cui per i procedimenti civili ed amministrativi risultava indicata genericamente la convivenza (inserito proprio con la L. n. 134 del 2001, art. 15 ter, comma 2) mentre per i procedimenti penali vi era lo specifico riferimento alla convivenza con il coniuge.
Dunque, questa Corte, in relazione alla normativa nella quale vi era esplicito e letterale riferimento alla convivenza con il coniuge – ai fini delle individuazione del limite reddituale per l’ammissione al gratuito patrocinio nei procedimenti penali (ed a differenza di quelli civili ed amministrativi) – ha interpretato la norma stessa nel senso dell’equiparazione della convivenza coniugale alla convivenza “more uxorio”.
Non vi e’, pertanto, alcuna ragione per discostarsi da detto orientamento, pur nella vigenza del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, – applicabile nella concreta fattispecie avuto riguardo alla data della sua entrata in vigore (1 luglio 2002) ed all’epoca dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio (18 luglio 2002) – pur non essendo stata prevista alcuna differenza per i procedimenti penali rispetto a quelli civili ed amministrativi, e pur essendo stata testualmente indicata, ai fini che in questa sede rilevano, la convivenza con il coniuge.
Il Collegio ritiene pienamente condivisibile l’indirizzo interpretativo appena ricordato, anche perché lo stesso risulta assolutamente in linea con la significativa evoluzione sociale, normativa e giurisprudenziale, registratasi negli ultimi tempi ed evidentemente finalizzata a dare rilievo sociale e giuridico (ovviamente, sia in “bonam” che in “malam partem“) alla famiglia di fatto e, di conseguenza, al rapporto “more uxorio” che nel caso di specie non pare possa essere messo in discussione, sotto il profilo fattuale, avendovi fatto esplicito riferimento lo stesso C. nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio per come si rileva dal testo dell’impugnato provvedimento.
Come è noto, infatti, e con particolare riferimento proprio al vincolo tra soggetti conviventi “more uxorio”, l’evoluzione giurisprudenziale ha portato al riconoscimento della famiglia “di fatto”, quale situazione di rilevanza giuridica.
Muovendo dalla evidente necessità di porre l’accento sulla realtà sociale piuttosto che sulla veste formale dell’unione tra due persone conviventi, è stata dunque riconosciuta valenza giuridica a quella relazione interpersonale che presenti carattere di tendenziale stabilità , natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale (basti pensare, tra i principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità in sede civile, a quello secondo cui deve attribuirsi rilievo, quanto alla corresponsione dell’assegno divorzile dovuto in conseguenza di scioglimento del matrimonio, al rapporto di convivenza “more uxorio” – caratterizzato da stabilita’, continuita’ e regolarita’ – eventualmente instaurato dal coniuge beneficiario dell’assegno stesso: Sez. 1, n. 11975/2003, RV. 565799).
Dovendo confrontarsi con le mutate concezioni che via via si sono affermate nella societa’ moderna, la giurisprudenza, in materia di rapporti interpersonali, ha dunque considerato la famiglia “di fatto” quale realta’ sociale che, pur essendo al di fuori dello schema legale cui si riferisce, esprime comunque caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia “stricto sensu” intesa.
Parimenti infondato e’ il secondo profilo del ricorso, secondo cui il rapporto di convivenza sarebbe risultato interrotto dalla detenzione del C. (nonche’ dai periodi dallo stesso trascorsi presso comunita’ terapeutiche).
Anche su tale punto questa Corte ha avuto gia’ modo di pronunciarsi ed ha enunciato il condivisibile principio di diritto secondo cui il rapporto di convivenza, ai fini del calcolo reddituale per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non si interrompe con lo stato detentivo della persona interessata al gratuito patrocinio (in tal senso, “ex plurimis”: Sez. 1, n. 16160/2001, Crissantu, RV. 218638; Sez. 4, n. 37992/2002, imp. Lucchese, RV. 223790).
Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento alle spese processuali.
Cosi’ deciso in Roma, il 26 ottobre 2005.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2006
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E' una cosa vergognosa!! Io che sono stata ammessa al patrocinio gratuito per la mia separazione giudiziale, incontro un uomo che mi aiuta , in quanto sono senza un lavoro senza un centesimo e senza una casa. Poi trovo il lavoro, ma il mio reddito arriva a poco più di 6000 euro l'anno.
Adesso mi dicono che non ho più diritto al patrocinio gratuito perchè ho una convivenza more uxorio, ed io mi chiedo: perchè la persona che mi sta ancora aiutando, che vive con me, dovrebbe pagare l'avvocato per la mia separazione?
Non sono cose che riguardano il mio compagno ma solo me e il mio ex marito.
E poi arriva la beffa , quando il giudice ha pronunciato la sentenza definitiva della separazione: alla fine ho dovuto pagare anche il CTU, perchè il giudice non ha scritto in sentenza " spese compensate al 50%" ma solo "spese compensate"!!! Io sto ancora pagando...... e mi sento senza protezione... grazie
Gabry.
Cara Gabry mi spiace dirlo ma è consolidato che il reddito dei conviventi si sommi. Si deve pertanto sommare ogni reddito delle persone che vivono assieme e verificare l'esistenza dei presupposti e il non superamento del limiti consentiti.
"Famiglia anagrafica
L'art. 4 D.p.r. n. 223 del 1989 definisce famiglia anagrafica non solo quella fondata sul matrimonio e legata da rapporti di parentela, affinita', affiliazione ed adozione ma, ogni altro nucleo che si fonda su legami affettivi, caratterizzato dalla convivenza e dalla comunione di tutto o parte del reddito dei componenti per soddisfare le esigenze comuni, quindi anche la famiglia di fatto. Questa definizione pero' ha una portata decisamente limitata, poiche' consente di provare la convivenza per le finalita' previste dalla legge, e cioe':
- computo del reddito del convivente per la richiesta di gratuito patrocinio a spese dello Stato nelle cause civili, amministrative e penali (il convivente e' considerato tale, dalla legge italiana, quando e' lo Stato che ne puo' trarre beneficio -in questo caso diminuendo le possibilita' di accesso al patrocinio gratuito!);
- possibilita' del convivente di non fare deposizioni in giudizio (art. 199 c.p.p.);
- dipendenti pubblici conviventi con persone portatrici di handicap, che intendano ottenere il trasferimento per avvicinarsi al luogo di residenza (D.M. n. 382/95)"
Posso comunque concordare che la norma porta ad addossare anche a soggetti estranei il patire le vicende giudiziarie dei conviventi ed il loro costo.
In merito al CTU le segnalo che indicare la quota di spese legali che va portata in compensazione è nella libera discrezionalità del magistrato giudicante: se così ha ritenuto non è altro che il frutto di una sua esclusiva decisione sulla scorta degli atti e fatti di causa.
Lì, pertanto, il sistema non c'entra.
Spero di esser stato utile.
In merito al gratuito patrocinio sono a raccomandarle di verificare la sussistenza dei presupposti per almeno una parte del periodo di causa. In tal caso potrà insistere per il mantenimento del patrocinio a spese dello stato ed ottenere il pagamento delle spese di tale periodo a carico dell'erario.
Se vi fosse già stato il rigetto della richiesta di gratuito patrocinio anche per il periodo in cui sussistevano i requisiti, potrebbe impugnare il diniego con ragione.
Vive cordialità .
Alessio Alberti
Staff Associazione Art. 24 Cost.
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Salve, La ringrazio molto per la risposta; il patrocinio mi è stato dato per la causa, e il giudice non so come abbia fatto a non mettere il ctu dentro al patrocinio, in quanto all'epoca della sentenza il mio reddito non superava 6000 euro l'anno.
Ero in patrocinio gratuito, e le spese del ctu , dovevano essere a carico dello stato. Comunque sia, la giustizia non esiste.
A questo punto, devo andare a vivere sotto un ponte per il divorzio? così non convivo con nessuno, e sarò tutelata.
Grazie ancora di avermi risposto.
Gabry
Salve Gabry, ho letto la sua risposta e ho mpartecipato al suo disagio. Questo passaggio della legge è davvero pesante e poco comprensibile sotto il profilo umano. Purtroppo resta vincolante e la giursprudenza non ci sente a leggere il disposto normativo in modo differente. L'unica cosa che mi sento di consigliare è impugnare il provvedimento di diniego e verificare se il tribunale matura una nuova sensibilità alla luce della situzione narrata.
Di certo va però accertata la regolarità della realtà reddituale per i periodi di convivenza di fatto non opponibile.
Cordiali saluti.
Alessio Alberti
Staff Associazione Art. 24 Cost.
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gentile staff associazione , la ringrazio molto per le sue risposte.Il problema è adesso, fino alla sentenza di separazionbe il patrocinio gratuito ce l'avevo.Solo che il mio ex non rispetta le condizioni dettate dal giudice, e non posso tornare in tribunale, perchè non ho il soldi per pagarmi l'avvocato.Il mio compagno, per quanto bene mi voglia, non mi paga l'avvocato.Anche perchè la legge dice, in merito alla convivenza more uxoria, che due persone che convivono non hanno obblighi li uni verso gli altri, ma solo la volontà di sostenere materialmente l'altro. Altrimenti sarebbe un matrimonio. Rimango ad aspettare, con la speranza che qualcosa cambi.La mia storia è triste, le dico solo che il giudice che ha presieduto la mia separazione, mi ha lasciata senza un centesimo.. eppure non ho una separazione per colpa, avevo un lavoro in nero, di 2 ore al giorno in un ristorante,senza casa,(ho dovuto allontanarmi, altrimenti succedeva una tragedia), e i miei figli lasciati al padre, perchè il più grande dei due, comprato in tutti i modi dal padre stesso, si messo contro di me!E dulcis in fundo, il ctu, che ha fatto un'intervista alla famiglia, senza andare a fondo nelle cose.... e ha lasciato i figli al mio ex con affido condiviso...il risultato? mio figlio più grande, non va più a scuola, non lavora ed è in litigio perenne col padre, il piccolo, che mi adora, soffre , ma mi ha anche detto: mamma tu hai tante persone che ti vogliono bene, il papà è solo!!! non aggiungo altro. Spero solo che chi di dovere si metta una mano nella coscienza, e non faccia le leggi lasciando ampi spazi di interpretazione.
un cordiale saluto e grazie.