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GRATUITO PATROCINIO: LE CONDANNE PRECEDENTI PER REATI TRIBUTARI NON LO IMPEDISCONO

I PRECEDENTI REATI TRIBUTARI NON IMPEDISCONO PIU’ L’AMMISSIONE AL PATROCINIO

Corte Costituzionale

Il limite di cui all’art. 91 del Testo Unico Spese di Giustizia (DPR 115/2202), in ragione del quale l’imputato e il condannato che abbiamo già subito procedimenti o condanne per i reati tributari, non impedisce l’ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato per procedimenti diversi da quello per cui era violazione della norma tributaria penale.

Questa è la pronuncia della Corte Costituzionale che precisato come la norma ponga un limite all’ammissione al patrocinio solo nel caso di procedimenti  aventi oggetto i reati per cui essa è richiesta, ma non quando l’accusato o il condannato abbiano in precedenza subito procedimenti o condanne per le medesime tipologie di reati.

La problematica è stata affrontata nell’ambito di un procedimento di esecuzione della pena, e con riferimento all’applicazione delle norme in materia di reato continuato o concorso formale riguardo a più delitti di ricettazione di assegni.

La Corte, nel riprendere una pregressa statuizione (vedasi ord. n. 94 del 2004), poi ripresa anche dalla Cassazione (sedasi Sent. Cass., n. 304 del 2003), ha confermato appunto che l’art. 91, comma 1, lett. a) d.P.R. n. 115 del 2002 «pone un divieto di ammissione al patrocinio nel caso di procedimenti (anche esecutivi) che abbiano ad oggetto i reati in essa elencati, e non quando l’accusato o il condannato abbiano in precedenza subito procedimenti o condanne per i reati medesimi».

Nel caso di specie, non emergeva che, tra le condanne in relazione alla quali si chiedeva l’applicazione del reato continuato, ve ne fosse almeno una relativa, appunto, ai reati tributari indicati nell’art 91, comma 1, lett. a) d.P.R. n. 115 del 2002; di qui la declaratoria di inammissibilità.
(Ordinanza Corte Costituzionale 18/04/2012, n. 95)

Avv. Victor Rampazzo

 

Ordinanza  95/2012
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente QUARANTA – Redattore SILVESTRI
Camera di Consiglio del 21/03/2012 Decisione  del 04/04/2012
Deposito del 18/04/2012 Pubblicazione in G. U. 26/04/2012
Norme impugnate: Art. 91, c. 1°, lett. a), del decreto del Presidente della Repubblica 30/05/2002, n. 115.
Massime:
Atti decisi: ord. 203 e 204/2011

Ecco il testo integrale del provvedimento.

ORDINANZA N. 95

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 91, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), promossi dal Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Campi Salentina, con ordinanze del 5 e del 26 maggio 2011, iscritte ai nn. 203 e 204 del registro ordinanze del 2011, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 marzo 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Campi Salentina, con ordinanza del 5 maggio 2011, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 24, secondo e terzo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui esclude l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di coloro che siano stati condannati per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, precludendo al giudice di verificare se detti reati abbiano effettivamente prodotto un reddito tale da superare, per l’anno antecedente alla richiesta, la soglia massima stabilita per l’accesso al beneficio;

che il rimettente è chiamato a deliberare, nell’ambito di un procedimento di esecuzione penale, sulla domanda di patrocinio a spese dell’erario proposta da persona che, in epoca molto risalente, ha riportato condanne in ordine al delitto di associazione di tipo mafioso e, più volte, riguardo a violazioni di norme penali tributarie;

che lo stesso rimettente, salva l’eventualità di verifiche puntuali (specie riguardo ad eventuali proventi ricavati da alcuni terreni «di famiglia», citati in un rapporto dei servizi sociali), stima attendibile la dichiarazione del richiedente d’aver conseguito redditi inferiori alla soglia fissata dalle legge per l’accesso al patrocinio, anche alla luce delle condizioni personali e familiari dell’interessato (totalmente invalido, con figlia invalida e con connessi redditi da pensione);

che il Tribunale ritiene dunque superabile, nel caso concreto, la presunzione relativa di «abbienza» posta dal comma 4-bis dell’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella portata assunta per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 139 del 2010, dichiarativa della illegittimità della norma nella parte in cui, stabilendo che per i soggetti già condannati con sentenza definitiva in ordine a determinati reati (tra i quali il delitto di associazione mafiosa) il reddito si dovesse ritenere superiore ai limiti previsti per l’ammissione al patrocino, non ammetteva la prova contraria;

che non sarebbe invece superabile – prosegue il Tribunale – la preclusione assoluta posta, con riguardo ai reati tributari, dal primo comma dell’art. 91 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002, tale da inibire (in quanto inutile) ogni eventuale approfondimento a proposito dei mezzi finanziari e dei redditi effettivamente conseguiti dall’instante;

che la norma censurata, tuttavia, sarebbe esposta agli stessi rilievi che hanno indotto la Corte costituzionale ad intervenire, con la citata sentenza n. 139 del 2010, sulla preclusione concernente i reati associativi ed ulteriori fattispecie delittuose;

che la Corte avrebbe ribadito, in particolare, come la legittimità delle presunzioni assolute sia subordinata, nella prospettiva del principio di uguaglianza, alla ragionevolezza della generalizzazione che le sorregge, e come dunque difetti ogni volta che sia agevole immaginare fattispecie concrete difformi dalla tipologia dei fatti soggetti al meccanismo presuntivo;

che il principio, applicato alle regole di valutazione del reddito, avrebbe rivelato l’illegittimità di presunzioni assolute fondate sulla pregressa commissione di reati, senza limiti connessi al decorso del tempo e con riguardo indiscriminato a numerose ed eterogenee tipologie di illecito;

che lo stesso rimettente rileva come la Corte costituzionale, con la pronuncia citata, non avesse giudicato illegittima in sé la connotazione presuntiva della regola di accertamento, ma piuttosto il carattere insuperabile della presunzione di «abbienza» posta dalla norma dichiarata incostituzionale;

che un intervento dello stesso genere sarebbe necessario, secondo il Tribunale, riguardo alla preclusione sancita dalla disposizione censurata;

che, in primo luogo, la previsione non potrebbe essere giustificata quale regola presuntiva di accertamento della disponibilità di redditi non dichiarati;

che, infatti, detta regola sarebbe irragionevole, se riferita a persone già condannate per reati tributari, in forza delle ragioni indicate nella sentenza della Corte costituzionale n. 139 del 2010, e risulterebbe ingiustificata, a maggior ragione, riguardo a persone solo accusate dei reati in questione (giungendo in questa prospettiva, pure irrilevante nel caso di specie, a violare la presunzione di non colpevolezza di cui al secondo comma dell’art. 27 Cost.);

che la vicenda sottoposta al giudizio del Tribunale costituirebbe una dimostrazione paradigmatica circa l’inattendibilità della presunzione di «abbienza», visto che il richiedente risulta condannato per reati tributari commessi circa venticinque anni prima della sua istanza di ammissione al patrocinio a spese dell’erario;

che la norma censurata non potrebbe essere giustificata neppure secondo un criterio di (non) meritevolezza del beneficio, in rapporto alla violazione di regole espressive dei vincoli essenziali di solidarietà sociale;

che il terzo comma dell’art. 24 Cost., infatti, assicura il diritto all’assistenza difensiva sulla base del solo criterio di «non abbienza», non consentendo di limitare l’accesso al patrocinio in base a considerazioni di opportunità, le quali del resto non potrebbero valere nei casi in cui manchi l’accertamento definitivo della responsabilità per reati tributari (art. 27, secondo comma, Cost.);

che la denunciata illegittimità sussisterebbe, infine, quand’anche si ritenesse che la norma censurata disciplini una sanzione accessoria, collegata al compimento dei reati tributari;

che non si giustificherebbe, in questa chiave, l’applicazione del divieto nei confronti dei soggetti indagati o imputati (art. 27, secondo comma, Cost.), e comunque si darebbe rilevanza, ancora una volta, ad un criterio diverso dall’unico costituzionalmente ammissibile, cioè quello della capacità economica di retribuire il difensore (art. 3 ed art. 24, comma terzo, Cost.);

che il rimettente osserva, in punto di rilevanza, come l’accoglimento delle questioni sollevate possa nella specie condurre all’accoglimento della domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, al momento insuperabilmente precluso dalla norma censurata;

che l’apprezzamento delle questioni non sarebbe pregiudicato, secondo il Tribunale, dalle precedenti decisioni della Corte costituzionale sulla norma censurata, ed in particolare dall’ordinanza n. 94 del 2004, nel cui ambito non sarebbe stata espressa alcuna considerazione circa il merito delle odierne censure;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 25 ottobre 2011;

che le questioni proposte, secondo la difesa dello Stato, sarebbero inammissibili, anzitutto in quanto giudice a quo, pur dando atto della disponibilità di «terreni di famiglia» in capo al richiedente, non avrebbe espresso alcuna valutazione sui redditi pertinenti, e comunque non avrebbe compiuto alcun approfondimento circa i profitti conseguiti dal medesimo richiedente mediante i reati tributari per i quali è intervenuta condanna;

che dovrebbe essere riscontrato, di conseguenza, un difetto di motivazione circa le condizioni di rilevanza della questione sollevata (sono citate le ordinanze della Corte costituzionale n. 251 del 2005 e n. 136 del 2007);

che le questioni, in ogni caso, sarebbero manifestamente infondate, posto che la norma censurata, senza esprimere una logica sanzionatoria o discriminatoria, si fonderebbe sulla difficoltà, considerata non superabile, di accertare attendibilmente i redditi a disposizione di persone che abbiano riportato condanne per reati tributari;

che la valutazione legislativa di inattendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente, nei casi in esame, si fonderebbe sull’id quod plerumque accidit, e che proprio la regola presuntiva censurata varrebbe a prevenire ingiustificate analogie di trattamento tra persone con redditi effettivamente ridotti e persone munite, in realtà, di mezzi finanziari più consistenti;

che il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Campi Salentina, con ordinanza del 26 maggio 2011, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 27, secondo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui esclude l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di coloro che siano stati condannati per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, precludendo al giudice di verificare se detti reati abbiano effettivamente prodotto un reddito tale da superare, per l’anno antecedente alla richiesta, la soglia massima stabilita per l’accesso al beneficio;

che il Tribunale è chiamato a valutare una istanza di ammissione al patrocinio in relazione ad una procedura esecutiva penale, che riguarda lo stesso soggetto interessato al giudizio principale cui si riferisce l’ordinanza del 5 maggio precedente (r.o. n. 203 del 2011);

che la procedura concerne, nel caso di specie, l’eventuale applicazione delle norme in materia di reato continuato o concorso formale riguardo a più delitti di ricettazione di assegni, posti ad oggetto di diverse sentenze passate in giudicato;

che il rimettente, a proposito dei redditi dichiarati e conseguiti dall’interessato, espone nuovamente i fatti già riassunti in relazione al primo giudizio, svolgendo considerazioni analoghe alle precedenti in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 25 ottobre 2011;

che le questioni sollevate sarebbero inammissibili o infondate, secondo la difesa dello Stato, per le ragioni già indicate in sede di intervento nel giudizio promosso con l’ordinanza del 5 maggio 2011.

Considerato che il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Campi Salentina, con ordinanze del 5 e del 26 maggio 2011, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 24, secondo e terzo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui esclude l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di coloro che siano stati condannati per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, precludendo al giudice di verificare se detti reati abbiano effettivamente prodotto un reddito tale da superare, per l’anno antecedente alla richiesta, la soglia massima stabilita per l’accesso al beneficio;

che i giudizi, data l’analogia di oggetto, possono essere riuniti al fine di una trattazione unitaria delle relative questioni;

che le eccezioni di inammissibilità proposte dall’Avvocatura generale dello Stato non sono fondate, posto che il rimettente ha espressamente formulato una valutazione di attendibilità delle dichiarazioni dell’instante circa l’indisponibilità di redditi superiori alla soglia di legge, tale addirittura da superare la presunzione contraria posta dal comma 4-bis dell’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, ed ha constatato, per altro verso, come la preclusione assoluta che discende dalla norma censurata renda priva di rilevanza, allo stato, ogni eventuale ed ulteriore verifica;

che, tuttavia, le questioni sollevate sono manifestamente inammissibili per motivi diversi ed in parte concomitanti;

che non può essere trattata nel merito, anzitutto, la censura riferita al secondo comma dell’art. 27 Cost., dato il carattere perplesso e contraddittorio della relativa motivazione in punto di rilevanza;

che più volte, infatti, lo stesso rimettente ha rilevato come, nei casi di specie, non venga in considerazione il preteso contrasto tra la preclusione sfavorevole alle persone indagate o imputate per reati tributari e la presunzione di non colpevolezza, posto che il divieto di ammissione del richiedente al patrocinio si fonda, nei giudizi a quibus, su decisioni irrevocabili di condanna maturate in altri procedimenti;

che, riguardo agli ulteriori parametri costituzionali evocati, le questioni sono inammissibili per le gravi carenze motivazionali in punto di rilevanza, avuto particolare riguardo alla qualità dei reati cui si riferiscono i procedimenti di esecuzione condotti dal giudice a quo;

che va premesso in proposito come questa Corte abbia chiarito, con l’ordinanza n. 94 del 2004, che la norma censurata pone un divieto di ammissione al patrocinio nel caso di procedimenti (anche esecutivi) che abbiano ad oggetto i reati in essa elencati, e non quando l’accusato o il condannato abbiano in precedenza subito procedimenti o condanne per i reati medesimi;

che la stessa opzione interpretativa è stata in seguito assunta anche dalla Corte di cassazione (tra le altre, sentenza n. 31177 del 2004);

che va ribadito come i giudici rimettenti siano chiamati, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, non solo ad indicare le circostanze che incidono sulla rilevanza delle questioni sollevate, ma anche ad illustrare, quando sia il caso, i presupposti interpretativi che implicano, nel loro giudizio, la necessità di fare applicazione della norma censurata (ex multis, ordinanza n. 61 del 2007 e sentenza n. 249 del 2010);

che nella specie il Tribunale, avuto riguardo al giudizio cui si riferisce l’ordinanza r.o. n. 203 del 2011, non ha fornito alcuna indicazione circa l’oggetto del procedimento esecutivo in funzione del quale è stata formulata l’istanza di ammissione al patrocinio, così da precludere la necessaria valutazione di questa Corte circa l’effettiva rilevanza della questione sollevata;

che nell’ulteriore ordinanza (r.o. n. 204 del 2011), di contro, il rimettente ha specificato trattarsi della richiesta di operare il cumulo giuridico tra le pene separatamente inflitte per più reati di ricettazione concernenti assegni bancari, senza formulare alcuna motivazione, nel contempo, circa le ragioni per le quali dovrebbe applicare la norma censurata in un giudizio che non concerne reati tributari;

che dunque, e come anticipato, tutte le questioni sollevate sono manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 91, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevate dal Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Campi Salentina, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo e terzo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2012.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI

 

 

 

Alessio Alberti:
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