L’ITALIA HA I PROCESSI PIU’ LUNGHI D’EUROPA:
PERCHE’ LA DURATA DEL PROCESSO CONDIZIONA I COSTI DI GESTIONE DELLA CAUSA E L’EFFETTIVITA’ DELLA GIUSTIZIA?
L’Italia è il paese con il più alto rapporto fra durata del processo e costi della #giustizia. Abbiamo i processi più lunghi e fare causa costa in Italia più che altrove.
Nell’area Ocse la lunghezza media è di circa 240 giorni in primo grado, mentre nella penisola italiana un processo può richiedere pure il doppio. Il miglior risultato si ha in Giappone con solo 107 giorni e circa 420 giorni sono stati richiesti in Slovenia e Portogallo: in Italia servono invece 564 giorni. La durata media di una controversia civile su tre gradi di giudizio è stata di 788 giorni, partendo dal minimo di 368 giorni in Svizzera ai quasi 8 anni in Italia. Lo dicono la Comunità Europea (CEPEJ e OECD) e la Banca Mondiale.
Il rapporto comunitario rileva che, con alcune eccezioni (Slovenia), i sistemi caratterizzati da processi lunghi tendono ad essere più costosi, suggerendo che una maggiore lunghezza del processo è un fattore che condiziona in modo importante l’accessibilità del sistema giudiziario (vedi tabella qui sopra) .
La questione ha una portata più ampia di quanto si immagini. Il dato che si ricava dalla infografica spiega perchè anche agli avvocati non conviene un processo così lungo. Pertanto, gli avvocati lo subiscono perchè non possono decidere diversamente.
Pensateci bene: più si allunga il processo più si riduce la marginalità che l’avvocato può ricavarci (perchè si ha più attività da fare senza avere un corrispondente aumento del compenso, oltre all’indesiderato spostamento del momento dell’incasso del saldo con l’allontanarsi della sentenza). D’altra parte, la scelta di allungare non è certo di chi non decide nulla – ovvero l’avvocato, bensì rientra nella disponibilità e nell’interesse del giudicante che, spostando la fase decisoria, sceglie di procastinare il momento di maggior impegno e fatica.
Se il rapporto Doing Business 2013 (World Bank. 2013. Doing Business in Italy 2013: Smarter Regulations for Small and Medium-Size Enterprises) sostiene che uno dei problemi della giustizia italiana è il maggior costo rispetto al valore della causa fra quelli europei (26,2% italiano invece del 21,5 % europeo) se ne ricava che, diversamente da come si racconta in certo giornalismo partigiano, il gap fra noi e la media comunitaria è dovuto ad un problema strutturale della gestione del processo e non alla scelta degli avvocati italiani di essere cari. Il dato numerico del costo non significa infatti nulla se non lo parametriamo alle marginalità che questo consente di ottenere, e se quindi non provvediamo prima a depurarlo dei maggiori costi di produzione.
Lo spiego con un semplice esempio: se parlassimo del costo di un viaggio in auto con più mezzi, per avere un confonto logicamente esatto dovremmo comparare il dato del consumo non solo fra macchine diverse ma anche fra distanze uguali: non possiamo dire che un veicolo ha consumato 100 litri per andare da Milano a Roma ed un altro 120 se prima non precisiamo che gli facciamo fare lo stesso percorso. Infatti, se una delle due macchine fa il viaggio da Milano a Roma passando per Trieste e l’altra passando per Firenze, a tutti balzerà agli occhi che il dato del consumo non sarà per nulla comparabile, qualunque sia la diversità di motore o di tipologia.
La stessa cosa vale per il costo del processo: non si può fare un confronto fra Italia e Svizzera o Italia e Germania perchè, anche se hanno sistemi processuali simili, in quei paesi il processo dura di media dalla metà a due terzi di quello italiano e quindi avranno costi aggregati infinitamente minori (per assurdo in Germania il processo puro costa il 10 % più che in italia ed il 20% più che nella media europea: vedi tabella più sotto).
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Insomma, per concludere sul punto, si può dire che questa è la prova capace di esentare gli avvocati da ogni tentativo di affibbiargli la responsabilità esclusiva di quello che sta accadendo ogni giorno in tutte le aule di udienza della repubblica.
Non sono i legali il problema, mentre lo è chi gestisce il processo. La cosa è confermata anche dallo stesso stato del paese dove non si trova una situazione omogenea, bensì a macchia di leopardo: perchè altrimenti avremmo, a pochi chilometri di distanza, tribunali virtuosissimi e tribunali dissestati in presenza della stessa avvocatura?? Se non cambi i fattori, il prodotto non dovrebbe mica cambiare?
Vedi infatti la infografica qui sotto.
La lunghezza dei processi deve perciò essere vista come il risultato dell’interazione tra domanda e fornitura di servizi giudiziari a fronte delle decisioni prese da chi dirige questi ultimi (al Ministero e dintorni). Infatti, è solo l’incapacità del sistema di risolvere in ciascun periodo determinato un numero di casi pari a quello portato in tribunale a generare congestione, ritardi e conseguenti inefficienze e collassi. E ciò accade a prescindere dall’entità delle macrovariabili date da popolazione e affari del territorio.
Secondo la stessa OCSE, i fattori che influenzano la lunghezza dei processi possono essere perciò raggruppati in due categorie principali, causalmente dipendenti l’una dalla fornitura di servizi giudiziari (1) e l’altra dalla domanda (2).
Dal lato dell’offerta (1), per certo, i fattori determinati sono :
- la quantità e la qualità delle risorse umane e finanziarie dedicate alla giustizia;
- l’efficienza del processo di produzione influenzato, tra l’altro, dal grado di specializzazione dei compiti, l’uso di tecniche per la gestione efficiente dei casi ;
- la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ( TIC) ;
- la struttura di governance delle corti, tra cui la struttura degli incentivi per giudici e personale giudiziario.
I fattori che in linea di principio l’influenza della domanda di servizi giudiziari (2) sono
- quelli che sono interni alla organizzazione ed il funzionamento del sistema giudiziario – come i costi di accesso al servizio e le regole per loro ripartizione tra le parti (addebito delle spese);
- la diffusione di meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie ( ADR );
- il grado di certezza del diritto;
- ma anche elementi che sono esterni e relativi a fattori culturali e strutturali caratteristiche delle singole economie;
- il tariffario degli avvocati e la struttura della professione.
In merito alla prima voce (fornitura di servizi giudiziari) si può dire che i costi e le energie impiegate hanno poca influenza: non vi è infatti alcun legame apparente tra spesa pubblica complessiva per la giustizia (in percentuale del PIL) e le prestazioni dei sistemi nei dati raccolti dall’OCSE. In paesi con rapporti di spesa simili si vedono lunghezze molto diverse del processo. Ad esempio, l’Italia, la Repubblica Slovacca, Svizzera e Repubblica Ceca tutto destinano circa lo 0,2% del PIL ai bilanci delle Corti, ma, mentre in Svizzera e la Repubblica Ceca, la durata media del processo è di circa 130 giorni, il valore è 2,7 volte più grande nella Repubblica slovacca e addirittura 4 volte più grande in Italia (vedi tabella qui sopra).
Effetti molto diversi sono invece causati dalla scelta di spingere sulla informatizzazione del sistema: i paesi che hanno dedicato una quota maggiore del bilancio giustizia agli investimenti ICT vedono una lunghezza media del processo più corta, ma anche una maggiore produttività dei giudici.
Passando da una quota di personale con competenze informatiche di base del 33% ad una del 54%, la capacità di risposta della produttività dei giudici aumenta di quattro volte. Lo stesso deve dirsi dell’introduzione di best practices e azione di monitoraggio e management delle Corti che evitano il generare sacche di inefficienza e fenomeni di mera aututela della vita della PA.
Insomma, una miglior gestione non da solo una giustizia migliore, ma anche una giustizia più veloce.
Molto differente è invece il ragionamento fattibile su quanto inerisce l’influenza della domanda di servizi giudiziari. Qui, innanzitutto, ogni scelta che vuole modificare la domanda deve sempre essere individuata come una possibile compressione all’accesso alla giustizia ed al diritto di difesa.
Pertanto, se può essere facilmente condivisa la necessità e l’utilità di una maggior diffusione di meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie ( ADR ) ed il coltivare un aumento del grado di certezza del diritto, si invece deve rilevare la difficoltà a modificare gli elementi che sono esterni e relativi a fattori culturali e strutturali, caratteristica delle singole economie, e sopprattutto la pericolosità di limitare l’accesso ai servizi giudiziari.
Invero, migliorare i servizi è cosa molto diversa dall’interazione con l’entità della domanda.
Facendo un paragone con il mondo della sanità sarebbe come dire che, per modificarne l’efficienza, invece di interagire con la capacità di risposta dei servizi medici, si volesse limitare la domanda degli ammalati. Di certo, se facciamo arrivare meno ammalati in ospedale, saremo in grado di curare meglio quei pochi che arrivano, e ciò pur mantenendo costanti i servizi erogati, ma di sicuro non daremo risposta alcuna alla tutela del diritto alla salute. La negazione della risposta di servizi sanitari a coloro che resterebbero esclusi da un possibile accesso al mondo sanità pubblica sarebbe sempre una scelta inspiegabile ed ingiustificabile all’insegna dei valori costituzionali.
Lo stesso accade per le aule di tribunale.
Passando dall’esempio parallelo alla disamina del mondo giustizia si deve subito ricordare che l’innalzamento del costo di accesso, o la carenza di liquidazione risarcitoria delle spese processuali, incidono sicuramente sull’aumento della domanda e se fossero aumentati si avrebbe una contrazione ulteriore, oltre a quella che c’è già stata, della richiesta di servizi giudiziari. Credo però che sarebbe difficile difendere queste scelte sotto il profilo della loro tenuta a livello di Costituzione, soprattutto con riferimento agli artt. 2, 3 e 24.
In particolare, fino a che sarà scritto che:
Art. 24
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
non si potrà MAI affermare che la giustizia si eroga fino a che c’è cassa, e non fino a che ci sono diritti da tutelare.
Il voler esaminare questo aspetto solo sotto un profilo matematico economico porta perciò poco distante. A meno che, e allora bisogna dirlo chiaro e non nasconderlo sotto ipocrite richieste di maggior Europa, non si voglia smettere una volta per tutte di parlare di giustizia per come fino ad oggi intesa.
Del resto, se decidessimo che si da Giustizia fino a quando il sistema è in grado di farlo a condizioni costanti, senza alcuna scelta di responsabilizzazione degli operatori in ragione dei risultati o delle necessità operative, non potremmo più dare una motivazione all’esistenza della stessa massima giurisdizione, ovvero di quella Corte Costituzionale che deve garantire da ultimo il rispetto dei diritti sanciti nella Carta fondamentale.
Prima di concludere l’analisi, ed arrivare ad una sintesi, pare doveroso un commento all’ultimo punto della disamina comunitaria, che è poi lo stesso da cui siamo partiti in incipit di questo articolo: il ruolo degli avvocati e la loro eventuale corresponsabilità nei ritardi del mondo giustizia.
L’esistenza di un tariffario vincolante pare superata tanto nei fatti quanto in diritto. Non si può perciò più dire, come tante volte si è fatto, che la garanzia di un compenso eterodeterminato sia uno stimolo al contenzioso. Oggi non più così perchè non vi è tariffario obbligatorio, la libera negoziazione può decidere cosa vuole e comunque era già così nei fatti anche prima.
Anche in Italia siamo perciò privi di ogni rallentamento legato al fattore economico: come accennavo sopra, avere un compenso standard di fatto preconcordato prima della causa permette al cliente di superare l’asimmettria informativa nel determinare l’oportunità di avviare il processo o di resistervi, per converso il numero di contenziosi resta costante a fronte di possibilità di incasso limitate, e ciò a prescindere dal numero di operatori forensi possibili.
Spiego meglio: se in un certo territorio la ricchezza è (X) e le possibili cause sono (Y) (fattore eterodeterminato rispetto agli operatori forensi e legato alla conflittualità sociale o ad altri parametri macro), una volta che concordo in modo chiaro e certo il costo di ogni contenzioso in (Z) vado di conseguenza a causare il numero massimo di possibili controversie giudiziali rendendo indifferente l’entità dell’offerta di servizi legali (X:Y:Z=W numero massimo contenziosi sostenibili).
L’ovvia risultanza di tale operazione è che il costo certo e preconcordato del servizio dell’operatore forense determina anche la massima attività che da questi è erogabile al fine di ricavarne una marginalità.
L’aumento dei costi di gestione inerenti una maggior durata della pratica non può quindi essere imputato a quel soggetto, l’avvocato, che ha tutto l’interesse a mantenerli contratti al massimo per garantirsi il miglior profitto delle sue prestazioni. Insomma, all’avvocato non conviene (più) se la causa dura al’infinito perchè il cliente non lo pagherà di più, e pure l’eventuale contenzioso a fini di parcellazione con quello che sarà divenuto un ex cliente non porterà ad alcun risultato in presenza di un ordinamento che non offre più alcuna tutela sul punto al legale (se a qualcuno interessa che approfondiamo questo passaggio me lo scriva in commenti qui sotto).
Arrivando quindi al nocciolo pare che, restando immodificabili ed indipendenti le variabili macrosociali che innescano la necessità/opportunità del contenzioso, non si può che prendere atto che l’eccessiva durata del processo dipende più dalla gestione della (1) risposta di servizi giudiziari che dalla (2) domanda degli stessi.
Purtroppo, fino a quando si cercherà di deresponsabilizzare i soggetti che decidono in merito al primo fattore (1) cercando così di trovare altre possibili imputazioni di colpa, non si affronterà mai la questione di cosa è priorità: lo si dica una volta per tutte, è più importante garantire il buon funzionamento di quanto esistente (e vita serena a chi vi opera) o vale la pena sacrificare tutto il resto per dare reale risposta a chi chiede la tutela di un diritto?
Fino a quando la discussione sullo stato della Giustizia in Italia partirà dall’assolvere a priori le scelte di chi ha portato in queste condizioni il sistema non si arriverà da nessuna parte. Anzi, nemmeno si partirà verso un percorso di comprensione di quanto accaduto e dello stato di fatto (manco leggendo i rapporti internazionali).
Il vangelo di chi lavora in questo mondo non lascia spazio ad interpretazioni di comodo. I servizi giudiziari servono a dare una risposta di Giustizia a chi vive un conflitto. Non ad altro.
Questo deve essere l’inizio e la fine di ogni ragionamento.
Quando non si da questa risposta, che può anche essere articolata e complessa (leggasi ADR o anche gradi di giustizia di differente accessibilità), il servizio giudiziario non è riuscito ad assolvere il suo compito. E quando il servizio giudiziario non da una rispostà tempestiva è sempre e comunque come se avesse taciuto, anzi se arriva tardi è pure peggio perchè ha creato un’aspettiva poi disattesa.
Quando la durata del processo sfugge alle priorità del sistema, ancora più grave è poi il problema che riguarda l’effettivo accesso alla giustizia ed alla necessaria difesa per coloro che non hanno i mezzi reddituali per garantirsi l’indifferenza alla compressione dei loro diritti. Sì, perchè bisogna sempre ricordare che in presenza di certi parametri di ricchezza la lesione di un diritto ha un impatto inferiore che nei confronti di coloro che non hanno alcuna possibilità di accedere a scelte alternative a quella compressa o ad interventi anestetici del disagio patito per la lesione.
Per queste ragioni non si può pensare che la mancata tutela all’accesso alla difesa possa mai diventare un surplus rinunciabile. Del pari è prova di un ordinamento malato la situazione che oggi viviamo, dove diventa persino psicologicamente accettato che l’assistenza processuale del non abbiente venga istituzionalmente ritenuta come un orpello da garantire di nome e non nei fatti: infatti, sfidiamo chiunque a spiegarci come si può garantire una difesa paritaria a qualcuno che ha un avvocato che verrà pagato male (50% di ogni minimo convenzionalmente accettabile) ed a 2/3 anni dopo la fine di una causa che durerà anni e anni (se va bene da 4 a 8); si crede che una difesa che vedrà la sua retribuzione 10 anni dopo l’inizio della controversia abbia mezzi e motivazione diversi da quella di chi è in grado di sostenerla tempestivamente con le proprie finanze.
La durata del processo è perciò solo una parte dell’equazione per una giustizia che funziona, perchè non ci può essere giustizia senza accesso alla difesa.