SENZA DIFESA NON VI PUO’ ESSERE GIUSTIZIA
Dove mi rivolgo per accedere alla giustizia?
Questa è la domanda che ogni cittadino, in qualche momento della sua vita, si pone.
Questa è la domanda che fonda la stessa esistenza dell’avvocatura, estrinsecazione naturale del diritto alla difesa.
Questa è la domanda che sempre più spesso lascia più che un dubbio all’uomo qualunque.
La storia di ciascuno di noi dice che quando ci siamo avvicinati al mondo della giustizia siamo rimasti scioccati di fronte al tasso di incertezza e all’alea che lo caratterizzano.
Lí le leggi della fisica e della logica vengono adattate a coesistere con la salvaguardia di autonomie e poteri che, all’uomo comune, non sono mai chiari.
La delusione si mischia così alla difficoltà di gestione del conflitto. Perché se si cerca giustizia si è sempre di fronte ad una vittima e ad un carnefice, il cui rapporto resta irrisolto.
Il terminale su cui si scaricano tutte queste tensioni sociali e politiche è oramai da un trentennio l’avvocatura. Un soggetto immobile e passivo che è transitato dall’essere paladino dei diritti dei cittadini al divenirne dualmente co-vittima e co-carnefice. Quantomeno per la frequentazione di istituzioni che agli occhi del consumatore finale, il cittadino, conservano opacità che iniziano con un difetto di comunicazione e finiscono in un’indifferenza sostanziale per le sorti degli utenti.
La costituzione repubblicana aveva cristallizzato il ruolo dell’avvocato nell’interpretazione dello strumento istituzionale capace di attivare il sistema giustizia: non esisteva un ruolo ed un’ambizione più alta, per anni vissuta con orgoglio ,e talvolta con martirio, da generazioni di avvocati.
Non è più così.
La paralisi del sistema, per colpe del tutto nazionali, ha snaturato ruolo ed autorevolezza di uno stuolo di difensori che, aumentando nel frattempo di numero, non sono riusciti a trovare ricollocazione o adeguamento istituzionale, finendo così alla deriva in un mare nazionale sempre più in burrasca. La pluralità interpretativa della giurisprudenza ha di fatto sepolto il principio di legalità che ancora fonda la coscienza della classe forense. L’avvocato non sa così quali risposte dare al cittadino, dimostrandogli con i fatti che non riesce ad essere più quel propulsore di giustizia che ancora vive nel solo immaginario collettivo.
Si deve partire da qui.
Se si prende atto che la realtà ha questa fisionomia, si può progettare assieme una risposta che adegui l’intervento dell’avvocatura per far ripartire l’ingranaggio e ritrovare una nuova mission, con nuove forze e nuovi intenti. Altrimenti, gli avvocati non saranno solo prigionieri di un passato che non c’è più, ma anche ostaggi di un futuro che non esisterà mai.
Il cittadino deve quindi trovare un’avvocatura cosciente di essere il cardine esclusivo per accedere alla Giustizia con la totale, assoluta valorizzazione del diritto di difesa garantito dell’articolo 24 della Costituzione. Specularmente, la classe forense deve fare un esame di coscienza e prendere atto davanti a se ed al paese che non vive per la liturgica autocelebrazione di un’elite ma per essere ontologicamente il tramite essenziale dell’accesso alla giustizia con l’esercizio del diritto di difesa. Solo quest’ultimo passaggio é la chiave di volta di tutto il resto.
Non ci sono contrapposizioni politiche, ambizioni economiche, sogni di gloria ed egoismi personali che tengano: il mondo degli avvocati inizia e finisce con la garanzia al cittadina di poter fruire di una difesa di fronte al potere giudiziario dello Stato.
Se si coglie questo collegamento si comprende anche che la garanzia all’accesso alla difesa a tutti i cittadini, a prescindere dalla loro redditualita individuale, é il momento più alto di un paese che vuole essere all’altezza degli standard di civiltà della sua storia.
L’essere avvocato trova la sua legittimazione morale di fronte alla necessità di giustizia del suo assistito, a prescindere da chi esso sia e da quale reddito abbia.
Quando pensiamo che il giuramento di Ippocrate é la chiave di volta della professione medica, possiamo capire che l’art. 24 della Costituzione, il diritto all’accesso alla difesa, é la fondamenta sociale di quella forense.
Per questa ragione, solo valorizzando il diritto di ciascuno di chiedere giustizia – e l’indifferenza della sua capacità economica all’esercitare tale diritto, si può dare effettività alla funzione sociale che l’avvocatura orgogliosamente rivendica da sempre.
Concludendo, si può dire che la domanda di giustizia può trovare una risposta nella società solo dando nuova linfa alla legittimazione morale dell’avvocatura: il diritto di difesa, con la garanzia dell’accesso al suo esercizio, diventa così il vettore etico di una mission rinnovata e la funzione di un soggetto sociale che é essenziale per la vita delle istituzioni democratiche.
Quando l’attività del difensore riscopre un suo attuale ruolo morale in questo percorso dobbiamo però andare oltre l’atteggiamento benpensante dell’avvocatura delle elite: é l’avvocato degli oppressi e delle vittime che legittima l’intero mondo forense, non il contrario.
Solo la difesa dei più deboli, dei senza mezzi, dei predestinati, permette all’avvocatura di salire sul pulpito istituzionale e chiedere Giustizia ad alta voce. Perché solo in quel caso nessun può attribuirle alibi e può opporle di essere portatrice di interessi di comodo o magari senza priorità collettiva.
L’assistenza processuale garantita a chi non i mezzi reddituali per difendersi diventa quindi la massima espressione morale del ruolo istituzionale dell’avvocatura: da ciò ne deriva che il mondo forense deve, deve e ancora deve dare la massima tutela ed il miglior riconoscimento al patrocinio defensionale svolto a favore dei più poveri, perché solo la vita professionale al loro fianco da significato sociale assoluto ad ogni altra, parallela, successiva e ben pagata attività.
André Moreau