SERVE DAVVERO UN SOCIO DI CAPITALE PER GLI STUDI LEGALI?
NO, NON SERVE, MA SERVONO AVVOCATI LIBERI ED INDIPENDENTI CHE GARANTISCANO L’ACCESSO ALLA DIFESA A PRESCINDERE DAL REDDITO DELL’ASSISTITO
Solo attraverso una professione in grado di porsi a difesa dei cittadini senza interferenze di terzi, senza commistione di interessi e senza la schiavitù della necessità dello scopo di lucro si può esplicare pienamente la vocazione forense dandole attuazione estesa e compiuta.
Per questa ragione l’Associazione Art. 24 Cost. ha da sempre fra i suoi valori fondanti la ferma difesa di un’avvocatura libera, autonoma ed indipendente che svolga la sua funzione sociale al di fuori di una logica di mero perseguimento del ritorno economico dell’attività professionale, ma sempre con il faro della responsabilità deontologica.
Ogni intervento che limiti, od anche solo metta in pericolo, lo svolgimento della professione nei detti termini è perciò da stigmatizzare come ostacolo all’effettivo accesso alla migliore difesa e, per l’effetto, all’esercizio del diritto ad una giustizia giusta a prescindere dal reddito dei soggetti richiedenti. Per questa ragione, l’indipendenza delle scelte professionali da ogni vincolo di obbligatoria sostenibilità economica dell’incarico professionale è condizione per garantire l’accesso alla Giustizia ai meno abbienti anche per il tramite del beneficio di cui al dettato della Carta Costituzionale.
Tanto vale sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello deontologico.
VISTO
– l’art. 26 del predetto DDL concernente “Misure per la concorrenza nella professione forense” e recante l’abrogazione dell’art. 5 della legge 247/2012;
– il nuovo art 4 bis, il quale prevede che l’esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a “società di persone, società di capitali …….”;
RILEVATO
– che tali previsioni non fanno nemmeno riferimento all’art. 10 della legge 12/11/2011 n. 183 concernente “Riforma degli ordini professionali e delle società tra professionisti”, comunque criticabile nella sua ultima versione (conseguente alle modifiche di cui al DL 1/2012, convertito con legge 27/2012) laddove prevede la partecipazione di un socio di capitale non professionista anche se solo nella misura di ⅓ delle quote;
– che la proposta riforma introduce quindi per la sola professione forense, e senza giustificazione, la totale deregulation della partecipazione alla compagine societaria inducendo e ratificando la priorità dell’importanza del capitale sull’opera dei professionisti apportatori del proprio know how e, per converso, subordina a detto fattore economico il valore dell’impegno deontologico dell’avvocato;
– che l’apertura agli investitori speculativi della partecipazione al capitale sociale delle società di avvocati introdurrebbe per i soggetti collettivi forensi la fine di ogni attività professionale priva di una finalità diversa dal mero perseguimento del lucro, con il conseguente disincentivo a raccogliere incarichi professionali a favore dei meno abbienti;
– che, peraltro, la recente delega di cui alla legge 247/2012, pur scaduta, ha tracciato il quadro di quella che è la professione forense intesa dal legislatore in accordo al dettato costituzionale e di essa possono quindi essere ripresi i principi ispiratori in coerenza ai valori di cui al preambolo, peraltro in esecuzione della stessa mozione n. 51 approvata dalla massima assise dell’Avvocatura lo scorso 11 ottobre 2014;
– che, invero, la legge 247/2012 prevede all’art. 5, comma 2, lettera A, che l’esercizio della professione forense in forma societaria sia consentito esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative, i cui soci siano sempre avvocati iscritti all’albo;
– che, comunque, non si possono nemmeno dimenticare i principi della riforma professionale ex legge 247/2012, e tornare tout court ad una disciplina pari a quella della legge precedente, perché nella Relazione di accompagnamento al Decreto del Ministero della Giustizia 8 febbraio 2013, n. 34, recante il Regolamento in materia di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, ai sensi dell’articolo 10, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183, si esclude l’applicabilità agli avvocati della medesima L. 183/2011 precisando che «in punto di ambito applicativo, va evidenziato che, medio tempore, è stata approvata la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense con legge 31 dicembre 2012, n. 247, che, all’articolo 5, reca delega al Governo per la disciplina dell’esercizio della medesima professione in forma societaria»;
– che la stessa disciplina ad oggi vigente ci conduce a ritenere i principi sopra enunciati già statuiti espressamente dal legislatore perché, pur essendo decaduta la delega, che a sua volta non abroga il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 contenente la disciplina specifica delle società tra avvocati, non ha fatto seguito alcun altro provvedimento, per cui la disciplina sulle società tra avvocati rimane quella in origine prevista dal d.lgs. 96/2001.
– che, d’altronde, l’inapplicabilità agli avvocati della L. 183/2011 può pure argomentarsi dal principio lex posterior non derogat priori speciali, in quanto il d.lgs. 96/2001 sancisce regole – quali l’esclusività del modello società tra avvocati per l’esercizio in comune dell’attività professionale; il riferimento, di default, alle regole della società in nome collettivo; l’inammissibilità della presenza di soci non professionisti – chiaramente incompatibili con le previsioni contenute nella legge 183 del 2011;
– che, in ogni caso, pare inaccettabile che le società di avvocati possano avere una disciplina deteriore rispetto a quelle degli altri professionisti sotto il profilo dell’autonomia e dell’indipendenza, poiché per le altre professioni resta invece vigente la Legge 183/2011 che almeno pone vincoli e tutele alla partecipazione del socio non professionista;
– che nulla osta ad un ripensamento ed alla successiva attuazione della disciplina delle società di avvocati anche valutando le società multiprofessionali, ma sempre nella massima tutela dell’indipendenza ed autonomia dell’avvocato nell’esercizio della sua funzione e garantendo la libertà da ogni commistione di interessi ed influenze esterni all’incarico oltre che il rispetto inderogabile del dettato dell’ordinamento costituzionale e forense;
– che la presenza di un soggetto mero apportatore di capitale nella titolarità dello studio legale costituito in forma societaria rappresenterebbe – anche solo di fatto – una scelta atta a sdoganare ogni interferenza di forze esterne nella scelte di difesa e ciò appare inammissibile, anche perché istituzionalizzerebbe prassi ufficiose che giá ora palesano tutta la loro nocività ad un’immagine dell’Avvocatura che vuole essere scevra da ogni addebito di asservimento antitetico alla libertà di difesa di cui ha diritto l’assistito;
– che l’Articolo 24 della Costituzione Italiana, coerente anche con la previsione dell’Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dell’Articolo II-107 della Costituzione Europea, prevede che, “a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia“;
– che la disciplina attuativa di tale normativa costituzionale è prevista nel “Testo Unico Spese di Giustizia” (DPR 115/2002), negli art. 76 e seguenti, istitutrice del “Patrocinio a spese dello Stato”;
– che l’art. 14 della Legge 247/2012 rubricato “Mandato professionale. Sostituzioni e collaborazioni“ prende al comma 1° che “salvo quanto stabilito per le difese d’ufficio ed il patrocinio dei meno abbienti, l’avvocato ha piena liberta’ di accettare o meno ogni incarico. Il mandato professionale si perfeziona con l’accettazione. L’avvocato ha inoltre sempre la facoltà di recedere dal mandato, con le cautele necessarie per evitare pregiudizi al cliente”.
– che pure l’art. 11, comma 2°, del Codice Deontologico Forense prevede che “L’avvocato iscritto nell’elenco dei difensori per il patrocinio a spese dello Stato può rifiutare la nomina o recedere dall’incarico conferito dal non abbiente solo per giustificati motivi”;
– che la proposta di riforma si porrebbe quindi in antitesi e negazione con l’attuale dettato deontologico ed ordinamentale forense, introducendo de facto una deroga ad essi per le sole società di avvocati con socio di capitale, e lasciando invece intonso per tutti gli altri avvocati l’obbligo di accettazione degli incarichi professionali con il patrocinio a spese dello Stato e la difesa d’ufficio;
– che, comunque, detta riforma creerebbe una categoria di soggetti collettivi professionali che sarebbero strutturalmente disinteressati a vivere l’estrinsecazione della funzione sociale dell’avvocatura e l’attuazione dell’art. 24 della Costituzione;
– che, contemperando le predette necessità Costituzionali, ordinamentali e deontologiche con la mozione congressuale n. 51 approvata a larga maggioranza dal XXXII Congresso Nazionale Forense di Venezia, pare necessario considerare una partecipazione a società di professionisti solo con:
-
a) l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci;
-
b) l’ammissibilità in qualità di soci dei soli professionisti;
-
c) specifici criteri e modalità per la gestione degli organi societari;
-
d) l’incompatibilità della contemporanea partecipazione ad una pluralità di società tra professionisti;
Preso, altresì, atto del comunicato OUA del 27 febbraio 2015 che già palesa le criticità del predetto art, 4 bis ed avutane piena condivisione nei termini qui espressi;
MANIFESTA
grave preoccupazione per la previsione dell’art. 4 bis, in quanto introdurrebbe una forma societaria in contrasto alle tutele da sempre richieste e previste dall’ordinamento per le società di avvocati, persino andando a limitare per loro quelle che sono comunque previste per gli altri professionisti nonché creando grave nocumento alla garanzia di un effettivo accesso alla Giustizia a prescindere dal reddito degli aventi diritto, per come statuito dall’art. 24 della Costituzione;
EVIDENZIA
– che la previsione dell’art. 4 bis comporta il rischio di un totale assoggettamento dei professionisti operanti all’interno della nuova forma societaria ai c.d. “poteri economici” forti, con conseguente spersonalizzazione e/o massificazione dell’attività professionale forense, nonché con potenziale o concreta moltiplicazione dei conflitti d’interesse palesi e occulti;
– che un scelta di tal fatta porterebbe alla generale costituzione di studi legali vincolati a potentati economici in grado di sovvertire, solo con l’apporto della “moral suasion” della loro forza esterna alla professione, anche le stesse leggi del mercato: la crescita di tale realtà sarebbe, peraltro, del tutto avulsa dalla reale capacità professionale e da ogni rapporto fiduciario, fattori entrambi pronti a divenire minoritari nella scelta dell’avvocato rispetto alla necessità che lo stesso sia affiliato al centro di potere economico in grado di influenzare la volontà del cliente;
– che l’assolvimento del dovere di difesa gravante sugli avvocati ex lege ed ex deontologia per gli istituti del patrocinio a spese dello stato e della difesa d’ufficio risulta incompatibile con la conduzione dello studio legale in ragione del mero perseguimento dello scopo di lucro;
CHIEDE
che l’art. 4 bis venga da subito stralciato dal DDL CONCORRENZA;
ESORTA
una ampia riflessione sulla disciplina della materia e la più ampia consultazione delle rappresentanze istituzionali e associative dell’avvocatura al fine di pervenire alla predisposizione di una proposta organica e condivisa di esercizio della professione forense in forma societaria che garantisca l’esercizio in forma autonoma, indipendente e personale nei termini predetti, nonché la trasparenza e la qualità delle prestazioni stragiudiziali e giudiziali dell’avvocato e l’affidamento dei cittadini destinatari di tali prestazioni.
Venezia, 19/03/2015
Andrè Moreau
Associazione ART. 24 COST.
“Per l’effettività del diritto di difesa”