LA AUTOCERTIFICAZIONE FALSA E’ REATO ANCHE SE IL RICHIEDENTE HA LO STESSO DIRITTO AL PATROCINIO A SPESE DELLO STATO
La Cassazione Penale interviene con la sentenza n. 40943 del 12 ottobre 2015 per affermare che, nei casi nei quali il cittadino falsifica l’autocertificazione per ottenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il dichiarante il falso è assoggettabile a procedimento penale, anche se, con il diverso reddito effettivamente percepito, avrebbe avuto comunque diritto al beneficio di Stato
La pronuncia palesa quindi come sia il mero “falso” a costituire il fatto reato, indifferentemente dall’aver procurato un beneficio a cui non si aveva diritto.
Il patrocinio a spese dello Stato garantisce l’accesso alla difesa ai meno abbienti ed oggi, dopo il recento aggionarmento del 12 agosto 2015, consente di accedere all’assistenza processuale a tutti coloro che hanno un reddito imponibile inferiore ad € 11.528,41, con la maggiorazione di e 1.032,00 per ogni familiare nel penale, al netto degli oneri deducibile. Vanno computati nel tetto reddituale anche tutti gli altri redditi esenti imposte o con ritenuta alla fonte o imposta sostitutiva.
Pertanto, in coerenza ad altre recenti pronunce, la Suprema Corte ritiene bastino ad integrare il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 dei 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e ciò a prescindere dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio.
Per converso, paiono superate le tesi giurisprudenziali più remote per le quali le dichiarazioni non coinvolgenti elementi essenziali ai fini della valutazione dell’autorità giudiziaria fossero estranee all’offesa tipizzata dal legislatore e costituissero un’ipotesi di falso inutile, come tale non punibile.
Di seguito il testo integrale della sentenza.
Avv. Alberto Vigani
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Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 settembre – 12 ottobre 2015, n. 40943
Presidente Bianchi – Relatore Pezzella
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza emessa il 03.03.2015, confermava la sentenza emessa nei confronti di D.R.S. dal Tribunale di Campobasso – in composizione monocratica – in data 26 marzo 2012, con cui lo stesso era stato condannato alla pena di anni 1 e mesi sei di reclusione ed euro 500,00 di multa per il reato di cui ali’ art. 95 del D.P.R. n. 115/02, per avere indicato, nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, presentata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Campobasso in data 14.05.2008, dati non veritieri ed in particolare per avere indicato di essere nelle condizioni reddituali per ottenere il beneficio, laddove, invece, l’Agenzia delle Entrate rilevava un redito familiare per il 2007 diverso e superiore al limite previsto per ottenere il beneficio del patrocinio a spese dello Stato (in Campobasso il 20.5.2008, fatto aggravato perché con tali false dichiarazioni otteneva l’ammissione al gratuito patrocinio in data 20.5.2008).
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, personalmente, D.R.S., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
* Violazione dell’art. 606, lett. E) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia rigettato l’appello proposto dall’imputato, sostenendo che, a privare di qualsivoglia fondamento giuridico le doglianze formulate dall’appellante, fossero gli accertamenti svolti presso l’Agenzia delle Entrate di Campobasso, da cui era emerso che il D.R. ed i suoi familiari avevano conseguito redditi in misura superiore a quelli dichiarati, atteso che, nell’ anno 2007, non solo il D.R., ma anche i di lui genitori avevano percepito redditi per complessivi euro 14.146,00. A parere dei giudicanti in secondo grado, dunque, appariva evidente come l’imputato non avesse assolto all’obbligo imposto dalla legge di indicare nella richiesta di ammissione al gratuito patrocinio tutti gli elementi costitutivi del reddito familiare ed inconfutabilmente risultanti dall’ Anagrafe Tributaria, riportando come reddito complessivo familiare solo quello di cui al modello CUD 2008 relativo ad esso istante. La omissione delle indicazioni di redditi rilevanti (pari ad euro 14.146,00) rendeva evidente la sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Invece, secondo il ricorrente, sarebbe di palmare evidenza come l’assunto motivazionale della Corte d’Appello sia manifestamente illogico e contraddittorio, giacché nessun elemento probatorio raccolto nel corso della istruttoria dibattimentale dimostrerebbe la presenza, nella condotta dell’imputato, degli estremi tipici della fattispecie addossata, e, in particolare, del dolo. Invero -si legge in ricorsonell’istanza dì ammissione al patrocinio a spese dello Stato, D.R. S. affermava: « … 1. il proprio nucleo familiare è così composto:… M.A. … D.R. S. … D.R. E. … D.R. M. … D.R. A. … D.R. A. … D.R. U. … D.R. F. … D.R. D. … D.R. A. … 2. sussistono le condizioni di reddito previste dalla legge (art. 79 D.P.R. n°115/2002) per l’ammissione al beneficio richiesto, essendo l’istante ed il proprio nucleo familiare titolare di reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito inferiore ai limiti di cui all’art. 3, Legge n°134/2001 (euro 9.723,84, aumentato di euro 1.032,91 per ogni familiare convivente) – come da copia CUD 2008 allegata».Si sostiene perciò che sarebbe evidente che l’odierno ricorrente non ebbe a formare una dichiarazione falsa, poiché ha espressamente dichiarato che “l’istante ed il proprio nucleo familiare titolare di reddito imponibile affini dell’imposta personale sul reddito inferiore ai limiti di cui all’art. 3, Legge n ° 134/2001 (euro 9.723,84, aumentato di euro 1.032,91 per ogni familiare convivente)” ovvero di euro 19.020,03, ritenendo applicabile il combinato disposto di cui agli artt. 76 D.P.R. 115/2002 secondo cui può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 10.628,16 e 92 D.P.R. 115/2002, secondo cui se l’interessato all’ammissione al patrocinio convive con il coniuge o con altri familiari, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 76, comma 2, ma i limiti di reddito indicati dall’articolo 76, comma 1, sono elevati di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi.
Si fa rilevare che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Campobasso aveva, poi, ammesso con delibera n° 68 dei 20.05.2008, l’istante al beneficio richiesto espressamente attestando che “l’istanza contiene tutti gli elementi e le dichiarazioni previste dal DPR 115/2002 ed è rispettosa delle formalità prescritte”. Ne discende – secondo la tesi proposta in ricorso- che l’organo deputato in prima istanza riconosceva l’ammissibilità dell’istanza ex artt. 76 e 92 D.P.R. 115/2002. E così pure ha fatto il giudice adito, il quale, ben avrebbe potuto procedere alla revoca del beneficio sulla scorta dell’errata considerazione del cumulo dei redditi indicato.Sarebbe dunque evidente, per il ricorrente, la precarietà e l’insufficienza della parte motiva della sentenza impugnata, se si considera che il giudizio di responsabilità penale del D.R.S. è stato formulato sic et simpliciter sulla base della sola testimonianza del Sottotenente della Guardia di Finanza D.M.M. che, riferendo in relazione agli accertamenti dallo stesso effettuati presso l’Anagrafe Tributaria, evidenziava una situazione reddituale complessiva dei D.R. S. relativa all’anno 2007 ben diversa da quella dichiarata dal medesimo nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio e nell’allegata dichiarazione sostitutiva di atto notorio, in quanto dalle stesse, non risultava il reddito riscosso dai familiari conviventi. Invero, si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe dovuto vagliare con la dovuta attenzione i contenuti dell’istanza formulata dal prevenuto e la loro effettiva rispondenza alle prescrizioni normative, non potendosi assolutamente ritenersi provata la reità dell’imputato semplicemente sulla scorta di un accertamento tributario che non sarebbe in grado di suffragare correttamente la falsità delle attestazioni rese dal prevenuto.
Da qui si evincerebbe la assoluta incompletezza della motivazione della sentenza di secondo grado rispetto alle doglianze formulate dall’imputato nei motivi di gravame, nonché la manifesta illogicità sottesa al ragionamento dei giudici di appello, teso ad una ricostruzione della condotta criminosa contestata all’imputato dei tutto disancorata da un’adeguata e valida base probatoria. Ed ancora, i giudicanti in secondo grado avrebbero operato per il ricorrente con una sorta di automatismo, ricavando la sussistenza dei dolo esclusivamente dalla omissione della indicazione di redditi rilevanti, contrariamente al costante atteggiamento della giurisprudenza in tema di falsità ideologica (valevole anche per la fattispecie ascritta al prevenuto che, dei falso ideologico, ne é una specifica ipotesi).Nel caso che ci occupa, non solo non sarebbe stato verificato se D.R.S. agisse con la coscienza e volontà di immutare il vero al momento delle dichiarazioni contenute nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio nell’allegata dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ma, in tutta evidenza, sarebbe stata ritenuta implicita nella stessa materialità dei fatto (tra l’altro, non sufficientemente provato) la sussistenza dei nesso psichico richiesto. Difettando qualsiasi prova, nulla escluderebbe, dunque, secondo tale tesi, che il D.R. , all’atto delle attestazioni rese, abbia agito per leggerezza ovvero per negligenza, non potendo, pertanto, ritenersi sussistente in capo allo stesso quel sostrato di natura psichica indefettibile ai fini della integrazione del reato contestato e che deve necessariamente consistere nella volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero.
Viene poi denunciata la contraddittorietà intrinseca della motivazione, in quanto fondata su argomentazioni che non giustificano il diniego delle attenuanti generiche e che, invece, a rigor di logica avrebbero dovuto necessariamente condurre alla loro concessione.
Nel caso di specie -ci si duole- vi era una situazione specifica di particolare rilievo quale il corretto comportamento processuale tenuto dall’imputato ed il fatto che lo stesso fosse gravato da precedenti penali di scarso allarme sociale e ormai risalenti nel tempo. Ricorda il ricorrente non esservi dubbio che, tra i positivi elementì che possono suggerire la necessità di attenuare la pena da comminare per il reato, rientri il corretto comportamento processuale tenuto dall’imputato. Ciò perché anche il citato corretto comportamento processuale può essere sintomo di ravvedimento, fatto questo di cui si deve tenere conto nella determinazione della pena.Pur essendo il Giudice di merito libero di valutare i dati processuali, non vi è dubbio secondo il ricorrente che debba prendersi in considerazione un elemento di tale rilievo, quale certamente è l’atteggiamento collaborativo tenuto dal prevenuto anche nel corso delle indagini, che può legittimare il riconoscimento delle attenuanti generiche, e motivare adeguatamente in ordine al riconoscimento o al diniego delle stesse alla stregua dei criteri dinanzi enunciati.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.Considerato in diritto
1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Quello che, omnicomprensivamente, viene dedotto come vizio motivazionale, in realtà sottende una richiesta di rivalutazione in fatto dei compendio probatorio, che non è evidentemente consentita in sede di legittimità.
La Corte territoriale, con motivazione logica e congrua – e pertanto immune dal denunciato vizio di legittimità- dà conto degli elementi di prova che le hanno consentito di ritenere provata la penale responsabilità di D.R.S..
Il D.R., come si ricorda nel provvedimento impugnato, a seguito alla proposizione di un’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nell’ambito di un giudizio civile intentato contro l’impresa edile B.G., era ammesso al beneficio dal Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Campobasso con delibera in data 20 maggio 2008.
Nell’istanza il D.R. dichiarava che il reddito complessivo dei proprio nucleo familiare era contenuto nei limiti di legge, quale risultante dalla allegata copia dei Modello CUD 2008 relativo ad esso istante.
Dagli accertamenti svolti presso l’Agenzia delle Entrate di Campobasso era emerso, invece, che il D.R. ed i suoi familiari avevano conseguito redditi in misura superiore a quelli dichiarati atteso che, nell’anno 2007, non solo il D.R. ante ma anche i rnitori D.R. U. e M.A. avevano percepito redditi per complessivi € 14.146,00.
Logica è la conclusione -atteso che peraltro nessun elemento risulta mai essere stato addotto perché si possa ritenere non corrispondente al vero quanto accertato dall’Agenzia delle Entrate- cui sono pervenuti i giudici dei merito che nella richiesta di ammissione al gratuito patrocinio l’odierno ricorrente non abbia assolto l’obbligo imposto dalla legge, di indicare tutti gli elementi costitutivi dei reddito familiare ed inconfutabilmente risultanti dall’anagrafe tributaria, riportando, come reddito complessivo familiare, solo quello di cui al Modello CUD 2008 relativo ad esso istante.
Corretta in punto di diritto è la conseguenza che tale comportamento integri appieno il delitto di cui all’art. 95 D.P.R. n. 115 del 2002 a nulla rilevando l’assenta, effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio dei patrocinio a spese dello Stato.3. Nel provvedimento impugnato si fa buon governo della giurisprudenza in materia di questa Corte di legittimità.
Le Sezioni Unite, in particolare hanno ormai da qualche anno precisato, dirimendo un precedente contrasto, che integrano il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 dei 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio (Sez. Un. n. 6591 del 27.11.2008, Infanti, rv. 242152).
Non può dunque ritenersi, come un superato orientamento giurisprudenziale sosteneva, che le dichiarazioni che non riflettano elementi essenziali ai fini della valutazione dell’autorità giudiziaria siano estranee all’offesa tipizzata dal legislatore e costituiscano un’ipotesi di falso inutile, come tale non punibile.
Come argomentano correttamente i giudici del gravame del merito, la specifica falsità nella dichiarazione sostitutiva (artt. 95 – 79) è connessa all’ammissibilità dell’istanza non a quella dei beneficio (art. 96 co.), perché solo l’istanza ammissibile genera obbligo di decidere nel merito, allo stato. L’inganno potenziale, della falsa attestazione di dati necessari per determinare al momento dell’istanza le condizioni di reddito, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito,
Va anche aggiunto -e in tal senso perciò non appaiono fondate le doglianze di cui in ricorso- che il reato in questione è figura speciale del delitto di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) e, come quello, ha natura di reato di pura condotta, sicché il relativo perfezionamento prescinde dal conseguimento di un eventuale ingiusto profitto che, anzi, qui costituisce un’aggravante.
Consegue che il dolo del delitto in questione, essendo anch’esso costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non può essere escluso nel caso di specie in cui è stato anche motivatamente escluso un errore sull’identificazione dei redditi da inserire nella dichiarazione.
La Corte territoriale evidenzia correttamente che il reato di pericolo, nel caso de quo, si ravvisa se non rispondono al vero o sono omessi in tutto o in parte dati di fatto nella dichiarazione sostitutiva, ed in qualsiasi dovuta comunicazione contestuale o consecutiva, che implichino un provvedimento dei magistrato, secondo parametri dettati dalla legge, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio.
Qualsiasi elemento costitutivo del reddito familiare deve, dunque, essere oggetto di specifica indicazione. La omissione della indicazione di redditi rilevanti (pari ad € 14.146,00), unitamente alle risultanze degli accertamenti rende evidente -secondo la logica motivazione dei provvedimento impugnato- la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, non avendo peraltro l’imputato nemmeno fornito giustificazioni plausibili nemmeno nell’atto di appello.
Va peraltro ricordato che questa Corte ha chìarito come la determinazione del reddito ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato debba tener conto, nell’individuazione di quello complessivo dei familiari conviventi anche dei redditi per legge esenti dall’imposta per le persone fisiche o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva (così sez. 3, n. 25194 dei 31.3.2011, Brina, rv. 250960, in un caso in cui l’imputato aveva falsamente dichiarato i redditi familiari nell’istanza dì ammissione al patrocinio, omettendo in particolare di indicare le somme percepite, rispettivamente, dal padre, a titolo di TFR e, dalla sorella, a titolo di indennità di disoccupazione).4. Infondato è anche il motivo dì ricorso che attiene alla motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte correttamente rileva (cfr. pag. 3 del provvedimento impugnato) che le attenuanti generiche sono circostanze in senso tecnico, la cui funzione è e rimane quella di adeguare la comminatoria edittale della pena al profilo concreto dei fatto giudicato e alla personalità dei reo, svolgendo un ruolo complementare ai criteri di commisurazione della pena previsti dall’articolo 133 del codice penale. In tal senso – vìene rilevato- la loro concessione rientra nella discrezionalità del giudice, ma non è facoltativa, dovendo questi concederle una volta che, sulla base di una ricognizione dei valori della società, riconosca nella fattispecie concreta profili positivi che a tali criteri di valore corrispondano.
Tuttavia, altrettanto correttamente, viene rilevato che la concessione delle attenuanti generiche non può conseguire all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, ma alla presenza di elementi positivi in tal senso e che tale non può essere considerata nemmeno l’incensuratezza, atteso che il rispetto delle leggi penali è un dovere per il cittadino.
Ebbene, nel caso in esame la Corte territoriale dà conto in motivazione di non ravvisare elementi positivi di valutazione a favore del D.R. ed anzi tiene specificamente conto ai fini della conferma dei diniego, del fatto che lo stesso è gravato da precedenti penali.
Sul punto, va qui riaffermato il principio che, in caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell’articolo 62bis c.p. operata con il d.l. 23.5.2008 n. 2002 convertito con modif. dalla I. 24.7.2008 n. 125 che ha sancito essere l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione, sarebbe stato assolutamente sufficiente che il giudice si fosse limitato a dar conto, come pure ha fatto nel caso in esame, di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine.
Costante, peraltro, è il dictum di questa Corte secondo cui, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità dei reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (così sez. 2, n. 3609 del 18.1.2011, Sermone ed altri, rv. 249163; conf., ex plurimis, sez. 6, n. 7707 del 4.12.2003 dep. il 23.2.2004, Anaclerio ed altri, rv. 229768).
Va aggiunto che questa Corte Suprema ha da epoca risalente ormai chiarito che il riferimento ai cattivi precedenti penali dell’imputato costituisce ragione sufficiente a giustificare, di per sé solo, il diniego delle circostanze attenuanti generiche, qualora tali precedenti siano stati considerati dai giudici di merito come indici della capacità a delinquere e, quindi, della pericolosità sociale del condannato (sez. 1, n. 12787 del 5.12.1995, Longo ed altri, rv. 203146; sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768) precisando poi che la sentenza di applicazione della pena è equiparata a sentenza di condanna e pertanto essa è valutabile nel giudizio di diniego delle attenuanti generiche, specie ove si consideri che l’art. 133 cod. pen. richiama, oltre che i precedenti penali, anche quello giudiziari (così sez. 4, n. 11225 dei 15.6.1999, Pinto, rv. 214770, fattispecie in cui le attenuanti generiche sono state negate sul presupposto di un precedente specifico, costituìto da una sentenza di patteggiamento)5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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A chi devo rivolgermi per denunciare/segnalare, con documenti alla mano, una falsa dichiarazione per ottenere, fraudolentemente, il gratuito patrocinio?
Salve Gilberto,
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Salve Marco,
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