Quando tacere sui redditi illeciti NON diventa reato?
Quando la falsità o l’omissione di importi nella dichiarazione da rendere per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato comporta un reato?
L‘art. 95 del DP 115 del 2002 (TUSG) prevede la reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37 qualora si rendano dichiarazioni inveritiere. A parte un caso: questi non configura fattispecie di reato la mancata indicazione dei redditi frutto dei reati nell’ambito del medesimo procedimento per il quale è richiesta l’ammissione al beneficio.
Nel caso di specie i redditi illeciti sono stati il frutto dei reati di esercizio abusivo della professione di commercialista e di truffa; tali delitti erano oggetto del processo nel cui ambito la ricorrente ha richiesto l’ammissione al beneficio.
In quale ipotesi?
Pertanto, l’ipotesi narrata palesa che se si pretendesse dall’imputata la dichiarazione di percezione di redditi illeciti, in violazione del principio «nemo tenetur se detegere», si avrebbe un conflitto con il suo diritto di difesa e quindi a protestarsi innocente e rivendicare una pronuncia assolutoria. Invero se la parte ricorrente dichiarasse di percepito i redditi illeciti collegati al crimine per la quale è processata ciò comporterebbe una chiara confessione anticipata del reata per cui si proclama innocente, con ovvio pregiudizio del suo diritto di difesa.
Riportiamo di seguito il testo della norma sanzionatoria e della sentenza integrale (Cassazione penale, sez. IV, sentenza 06/06/2017 n° 27990).
Avv. Alberto Vigani
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ART. 95 (L)
(Sanzioni)
1. La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’articolo 79, comma 1, lettere b), c) e d), sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37. La pena è aumentata se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato.
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Cassazione penale, sez. IV, sentenza 06/06/2017 n° 27990
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Sentenza 6 giugno 2017, n. 27990
Presidente Blaiotta
Relatore IzzoRitenuto in fatto
1. Con sentenza del 26\1\2016 la Corte di appello di Trieste confermava la condanna di No. Fa. per il delitto di cui all’art. 95 del D.P.R. 115 del 2002, per avere falsamente dichiarato, nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio presentata nel novembre 2011, di non aver percepito alcun reddito dal luglio 2009, avendo invece percepito la somma di Euro 35.000,00 a seguito di una truffa consumata nel giugno-ottobre 2011.
Esponeva la Corte distrettuale che ai fini dell’ottenimento del beneficio è fatto obbligo di dichiarare anche i redditi illeciti e con tale omissione l’imputata aveva consumato il delitto contestatole.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputata, lamentando la erronea applicazione della legge. Invero al momento della presentazione dell’istanza non era ancora intervenuta la sentenza definitiva che attestava la percezione dell’illecito reddito, pertanto l’imputata non era tenuta alla sua dichiarazione; ciò a maggior ragione se si considerava che il processo per truffa era proprio quello nel quale era stata chiesta l’ammissione al beneficio.
Considerato in diritto1. Il ricorso fondato e la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
2. Questa Corte di legittimità ha, con consolidato orientamento, stabilito che ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato il giudice deve tenere conto anche dei redditi da attività illecite posseduti dall’istante (ex plurimis, Sez. 4, n. 21974 del 20/05/2010, Di St., Rv. 247300).
Pertanto, la mancata indicazione di tali redditi nella richiesta di ammissione al beneficio è idonea ad integrare la fattispecie delittuosa di cui all’art. 95 del D.P.R. 115 del 2002.
3. Ciò detto, va osservato che il caso in esame presenta una particolare peculiarità: i redditi illeciti sono il frutto dei reati di esercizio abusivo della professione di commercialista e di truffa; tali delitti erano oggetto del processo nel cui ambito la No. ha richiesto l’ammissione al beneficio.
E’ di tutta evidenza che in tale ipotesi pretendere dall’imputata la dichiarazione di percezione di redditi illeciti, in violazione del principio «nemo tenetur se detegere», confligge con il suo diritto di difesa e quindi a protestarsi innocente e rivendicare una pronuncia assolutoria.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza, perché il fatto non sussiste, affermando il seguente principio di diritto «In tema di falsità ed omissioni nella dichiarazione diretta ad ottenere l’ammissione al benefico del patrocinio a spese dello Stato, non integra il delitto di cui all’art. 95 D.P.R. 115 del 2002 la mancata indicazione della percezione di redditi illeciti, quando questi sono il frutto dei reati nell’ambito del cui procedimento viene richiesta l’ammissione al beneficio».
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.