ARRIVA LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI TORINO, SEZ. VI, DEL 16-11-2017.
La disciplina della gestione della crisi da sovraindebitamento è oramai risalente ad oltre 5 anni fa, ma in questo intervallo di tempo non si era risolta con esaustività la questione inerente l’estensione all’istituto delle garanzie previste dall’art. 24 III co. della Carta Costituzionale e dalla sua disciplina applicativa per come prevista nel T.U.S.G. DPR 115/2002; almeno fino alla sentenza in commento.
In particolare, a fronte dell’avvio sempre più diffuso di Organismi di Gestione della Crisi da sovraindebitamento, non si era finora affrontata la questione di prevedere l’assistenza per i non abbienti dell’attività del gestore incaricato di assistere il richiedente mentre si dava per assodato, seppur senza conferme operative, di poter accedere al beneficio di Stato per la difesa tecnica.
Invero, il problema era dato anche dalla difficoltà di assimilare l’assistenza richiesta nel corso della procedura di gestione della crisi da sovraindebitamento alla difesa processuale prevista come patrocinio nel processo penale ed in quello civile, amministrativo, contabile ed amministrativo, ai sensi dell’art. 74 del DPR 115/2002.
“1. È assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria.
2. E’, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate.”
La normazione che regola l’ammissione al patrocinio dei non abbienti limita, infatti, l’accesso al beneficio per soli casi di assistenza processuale, confinando l’assistenza extra giudizio ai soli casi delle controversie transfrontaliere. Prima di ora mancava alcuna riflessione giurisprudenziale che permettesse di tracciare anche per il sovraindebitamento il perimetro che assicurasse il supporto di una difesa tecnica garantita anche a coloro che sono privi dei mezzi reddituali necessari a procurarsene una di fiducia.
La fattispecie concreta che ha occasionato un nuovo approccio alla materia è data dalla vicenda occorsa ad un richiedente l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per la Gestione della Crisi da Sovraindebitamento che si è visto respingere la propria istanza da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (C.O.A.) di Torino, e ciò sia per quanto ineriva la correlata nomina di un professionista con funzioni di Organismo di composizione della Crisi (O.C.C.) che per l’assistenza tecnica da parte di un proprio avvocato nel corso della procedura ex art. 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3.
A cagione del rigetto della domanda di ammissione provvisoria da parte del C.O.A. la domanda è stata ripresentata con ricorso al Tribunale di Torino, quale giudice del merito competente per la procedura di gestione della crisi da sovraindebitamento, ai sensi dell’art. 126, III comma, del citato T.U.S.G.
“(Ammissione anticipata da parte del consiglio dell’ordine degli avvocati)
1. Nei dieci giorni successivi a quello in cui è stata presentata o è pervenuta l’istanza di ammissione, il consiglio dell’ordine degli avvocati, verificata l’ammissibilità dell’istanza, ammette l’interessato in via anticipata e provvisoria al patrocinio se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista, ricorrono le condizioni di reddito cui l’ammissione al beneficio è subordinata e se le pretese che l’interessato intende far valere non appaiono manifestamente infondate.
2. Copia dell’atto con il quale il consiglio dell’ordine accoglie o respinge, ovvero dichiara inammissibile l’istanza, è trasmessa all’interessato e al magistrato. 3. Se il consiglio dell’ordine respinge o dichiara inammissibile l’istanza, questa può essere proposta al magistrato competente per il giudizio, che decide con decreto.”
Investito della trattazione del merito dell’ammissione, il tribunale torinese ha quindi ammesso il richiedente al patrocinio a spese dello Stato affermandone la sussistenza dei requisiti di legge all’uopo previsti.
Il citato art. 74 del T.U.S.G. regola le ipotesi di ammissione al beneficio previsto per i non abbienti limitando, per il settore civile – amministrativo – contabile – tributario, all’assistenza processuale per le ipotesi nelle quali le ragioni del richiedente non risultino manifestamente infondate.
Il successivo art. 75 del T.U.S.G. precisa al II comma che la disciplina del patrocinio a spese dello Stato si applica a condizione che il richiedente “debba o possa essere assistito da un difensore o da un consulente tecnico”.
Partendo da questi dati normativi, dopo che il COA aveva pronunciato il suo rigetto, il Tribunale torinese – in sede monocratica – ha confermato l’ammissibilità al patrocinio a spese dello Stato in caso di procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento ex lege 3/2012 esaminando e dando risposta positiva all’istanza svolta dal richiedente con duplice articolazione: ovvero per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato
• sia per procedimento avviato ex art. 15 della L. n. 3 del 2012 per la nomina di un professionista con funzioni di Occ;
• sia per l’assistenza tecnica nella procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Per quanto rilevante, merita solo un cenno il fatto che il COA avesse svolto valutazione solo della prima istanza e non della seconda, comportando la correlata censura della giurisdizione in merito quantomeno alla decisione inerente la seconda, non esaminata e pur respinta. Sul punto, il giudice del merito fa palesare da subito l’indubbia ammissibilità per l’assistenza nella procedura medesima.
La motivazione del provvedimento parte dallo sgombrare il campo dalle possibili soluzioni alternative con l’esame a contrariis delle tesi che avversano l’ammissione del soggetto interessato ad avviare una procedura di composizione della crisi al patrocinio a spese dello Stato. Si dà perciò menzione di due correnti di pensiero in opposizione all’estensione del beneficio:
1) la prima questione si fonda proprio sulla qualità concorsuale della procedura e le condizioni economiche che la presuppongono;
2) la seconda verte invece su una possibile contrarietà della stessa norma istitutiva della procedura che all’art. 15, comma 4, della medesima legge n. 3 2012 che prevede: “Dalla costituzione e dal funzionamento degli organismi indicati al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e le attività degli stessi devono essere svolte nell’ambito della risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”.
In riferimento alla prima motivazione si dice che l’avvio di una procedura di gestione della crisi da sovraindebitamento abbia come fine l’assolvimento dell’obbligo debitorio verso la massa creditoria nel rispetto del principio della concorsualità e come presupposto l’esistenza di un patrimonio da liquidarsi e all’uopo dedicato al perseguimento del fine predetto in realizzazione della garanzia ex art. 2740 cod. civ.. In via non proprio intuitiva, si afferma un’incompatibilità fra esistenza del patrimonio oggetto della procedura e la richiesta di assistenza per il non abbiente in esplicazione della funzione da assolversi dall’istituto del cd. Gratuito Patrocinio.
In particolare, il tribunale torinese intesta agli oppositori dell’ammissione al patrocinio a carico dell’erario l’affermazione per la quale:
“Dalla necessaria esistenza di una consistenza patrimoniale discenderebbe un’incompatibilità tra la funzione assolta dall’istituto del gratuito patrocinio (assicurare al non abbiente la tutela giurisdizionale dei suoi diritti) e quella cui risponde la procedura concorsuale, del tutto diversa.”
Si precisa poi che ci si riferisce all’imputazione delle spese legali per la procedura quali spese prededucibili, e quindi esplicitamente da inserire da parte del debitore sovraindebitato nel concorso con gli altri crediti prededucibili, così mutuando la disciplina per concordato preventivo.
Il Giudice Torinese sostiene quindi che quest’ultima eccezione è da ritenersi superabile e superata a cagione della diversità della disciplina e delle fondamenta della legge n. 3 del 2012 rispetto alla struttura ed i principi che regolano la legge fallimentare per la gestione dell’insolvenza. La pure esistente assonanza fra le discipline delle due normazioni concursuali non porta ad affermare l’assenza di autonomia dell’una dall’altra: si assomigliano ma non viaggiano in parallelo.
La motivazione del provvedimento si sviluppa quindi articolando il riconoscimento di una propria autonomia sistematica della legge n. 3 del 2012 deducendo, anche con un’iperbole semplicistica, la sua indipendenza strutturale quale conseguenza del percorso legislativo concrettizatosi al di fuori del testo della legge fallimentare come se la non appartenenza ad un testo unico sia in sé giustificativa di ideazione di regole distinte per disciplinare istituti analoghi e simili. A suffragio si chiama la diversità sia dei requisiti soggettivi degli interessati sia della fenomenologia delle insolvenze e pure delle due tipologie di destinatari delle due leggi che disegnano la gestione concorsuale del debito (per inciso, detta affermazione – in unione al correlato ritenere non interferenti i due mondi procedurali – si scontra con il pensiero di molta parte della giurisprudenza).
Il Giudice torinese rinforza la sua tesi sulla questione ricercando con insistenza un fine sociologico della legge n. 3 del 2012 che parte dalla diffusione dell’insolvenza dei non imprenditori ed in genere del credito al consumo. A cagione dell’esistenza di un incontestato problema sociale, si vede come fine della legge in parola proprio il voler dare una risposta processuale alla necessità, di una parte crescente della popolazione, di poter recuperare l’opportunità di un futuro libero dai debiti contratti in una determinata fase, magari patologica, della propria vita.
L’indebitamento cronico è visto perciò come una realtà esistente nel sociale e la legge n. 3 è intesa come risposta pubblica per consentire al cittadino di riorganizzare la propria esistenza in una situazione di stallo nella perdurante crisi economica. Non per nulla la legge viene definita come legge “salva suicidi”, volendosi preoccupare del soggetto debole che, se abbandonato in un contesto di emarginazione economica, sarebbe preda di operatori dell’illecito i quali diventerebbero a loro volta amplificatori della crisi sociale, con un aggravamento sia dei costi di intervento dello Stato, sia rendendo più difficile il salvataggio dei soggetti meritevoli. Da lì, con il riferimento ad analoghe scelte legislative statunitensi ed ai benefici che sono attesi sull’intero impianto sociale, senza soluzione di continuità si passa a dedurre conferma della distinzione dei principi della Legge n. 3 del 2012 da quelli che sorreggono la legge fallimentare.
L’argomentazione, per quanto non priva di valore sul piano del commento alla legge, pare non essere così indispensabile a sorreggere la motivazione delle scelte adottate per gli aspetti tecnici già in parte accennati e che si dettaglieranno infra.
In successione, proseguendo la lettura del provvedimento, si affronta l’avversaria argomentazione circa l’esistenza di un “patrimonio” da intendersi quale elemento ostativo all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Anche in questo caso, la critica torinese ha dei limiti: il detto elemento ostativo non viene contrastato perchè errato, anzi la questione appare aggirata e non risolta: si sostiene che il patrimonio da utilizzare per raggiungere la liberazione del debitore non deve essere necessariamente di proprietà del richiedente l’ammissione e, segnatamente, si cerca rifugio nel richiamare la possibile esistenza di finanziamenti di terzi o dell’impiego di redditi futuri o di liquidazione di beni esistenti; solo alla fine, come clausola di chiusura si precisa che ciò che conta è l’assenza di redditi fuori soglia al momento della domanda per ottenere il beneficio.
L’approccio è senz’altro volenteroso, ma confonde.
In realtà, come ampiamente riconosciuto altrove in dottrina e giurisprudenza, la questione da porsi è solo l’ultima: la presenza dei requisiti reddituali (e non patrimoniali) è sufficiente e non richiede altre verifiche; si può dire senza incertezza che ogni richiamo alla sussistenza di un grande o piccolo patrimonio da liquidare totalmente o parzialmente è del tutto ininfluente alla verifica dei requisiti per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato.
Invero l’art. 76 del DPR 115/2002 esplicita chiaramente che:
“1. Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.528,41.
2. Salvo quanto previsto dall’articolo 92, se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito e’ costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante.
3. Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
4. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalita’, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
(…Omississ…)”
Le già prospettate questioni di costituzionalità in merito alla necessaria computazione anche di altri criteri rispetto al solo parametro reddituale del richiedente sono state dichiarate inammissibili, in quanto rimetterebbero la concessione del beneficio alla discrezionale determinazione del singolo giudice, quando invece la determinazione dei presupposti di accesso a tale provvidenza è riservata alla competenza del legislatore, che ha già focalizzato la rilevanza dell’unico riferimento reddituale. Altro sarebbe forse la presenza di un patrimonio indicativo di un diverso reddito, ma di questo non si è fatto alcun cenno e, pertanto, non è la questione di cui si discorre.
Per l’effetto. si può solo ritenere che il giudice torinese abbia cercato di contrastare il collegamento svolto dagli avversari dell’ammissione al beneficio con un’argomentazione più ampia e organica. Purtroppo il ragionamento non pare logicamente forte, perché rinuncia a partire dal requisito reddituale previsto quale riferimento effettivamente normato.
La difesa del sovraindebitato deve essere quindi ricompresa nella previsione costituzionale di cui all’art. 24 della Carta che garantisce l’accesso alla difesa quale diritto fondamentale ed insopprimibile; essa non può perciò essere limitabile da una legge ordinaria che, altrimenti, cadrebbe pure sotto il vaglio di incostituzionalità.
Il diritto all’accesso alla difesa di cui al III comma dell’art. 24 è infatti censito quale presupposto dello stesso diritto di agire in giudizio per chiedere Giustizia e non può essere limitato in alcuna sede, in particolare modo in casi come quello concursuale di cui si discorre dove la conoscenza della complessità della procedura rende la necessità della difesa tecnica un presupposto non negoziabile per rendere effettiva la fruizione del fine di giustizia della procedura.
Del resto, non si può che ricordare l’indiscussa ammissione al patrocinio a spese dello Stato in materia fallimentare e l’assenza di alcun criterio di differenziazione rispetto al trattamento del debitore persona fisica fallendo o fallito che ha diritto all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La giurisprudenza di merito e di legittimità non ha incertezza nell’ammettere quest’ultimo al beneficio di Stato ed una distinzione rispetto al solo sovraindebitato porterebbe un’inspiegabile disparità di trattamento per quel debitore che viene distinto solo per esser sottodimensionato rispetto alla soglia di fallibilità.
La stessa Suprema Corte (Cass. Civ., sez. I, 30/09/2005, n. 19215) ritiene persino che, in ambito fallimentare, il patrocinio a spese dello Stato sia la clausola di salvezza atta a garantire a qualunque fallendo la certezza di poter accedere ad una difesa impedendo ogni “…lesione del diritto di difesa costituzionalmente garantito”.
La sussistenza dei requisiti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in ambito concursuale non pare perciò trovare questione irrisolta e tale certezza va estesa senza riserve alla crisi da sovraindebitamento. Come anticipato, andando in senso contrario vi sarebbe un’inspiegabile contrasto con l’art. 24 della Carta Costituzionale con la conseguenza della caducità della norma in sede di eccezione di incostituzionalità.
Da ultimo sull’opporsi agli avversari, si può del tutto condividere quanto precisato circa il richiamo all’art. 15 della legge n. 3/2012: il vincolo a non causare maggiori costi per la finanza pubblica non è assolutamente pertinente per quanto concerne la difesa del singolo richiedente. La norma è posta all’interno della sezione che disciplina il funzionamento degli organismi di composizione della crisi e, di certo, non si rivolge a prevedere un’insostenibile deroga all’art. 24 della Costituzione.
Invero, il comma 4 dell’art. 15 citato, stabilisce che “Dalla costituzione e dal funzionamento degli organismi indicati al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Anche ad una veloce lettura si rileva che ci si rivolge all’operatività del soggetto gestore della crisi e non al sovraindebitato.
Il primo, infatti, è costituito da enti pubblici con requisiti di indipendenza e professionalità (CCIAA e Ordini professionali), che sono assoggettati ad una regolazione di funzionamento di natura pubblica senza che ciò crei alcun collegamento con l’esercizio del diritto di difesa del singolo debitore sovraindebitato.
In dettaglio sul punto, sarebbe stato utile evidenziare che, in assenza di formazione di un O.C.C., il professionista direttamente nominato dal giudice con dette funzioni consentiva senza problemi l’ammissione del consumatore, in condizioni reddituali tali da avere diritto all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, all’ausilio del detto professionista, di cui all’art. 15, comma 9, della legge n. 3 del 2012, che assuma le funzioni dell’O.C.C. per la gestione della procedura. In tale caso, appare certo che non vi possa esser alcun limite di finta pubblica, non intervento alcun soggetto pubblico che potesse esserne svantaggiato.
Proseguendo in questa direzione, come già fatto da altri in dottrina, al momento della nascita di un apposito Organismo di Composizione della Crisi risulterebbe inspiegabile negare al sovraindebitato tale diritto.
In altre parole, se l’ammissione al beneficio si può ottenere con nomina diretta del professionista che svolga funzioni di OC.C., non è dato comprendersi la ragione di un eventuale diniego qualora la domanda di ammissione avvenga dopo la formazione di un O.C.C. che nomini il professionista.
La questione non trattata, che pertanto resta aperta, è invece quella del titolo in forza del quale il professionista incaricato dall’OCC possa operare in regime di patrocinio a spese dello Stato.
Mutuando l’esperienza del professionista nominato prima della nascita dell’Organismo di Composizione della Crisi che, essendo nominato dal Giudice, non può che esser suo ausiliario, pare debba ritenersi di medesima natura il ruolo del professionista nominato dopo la formazione dell’OCC.
Da detta equiparazione del professionista incaricato della gestione della crisi all’ausiliario del giudice deriva l’equiparazione anche del correlato trattamento economico del soggetto incaricato.
Per l’effetto, il compenso del professionista sarà da liquidarsi nella misura dimidiata prevista per i procedimenti non penali dall’art. 130 del T.U.S.G.:
“(Compensi del difensore, dell’ausiliario del magistrato e del consulente tecnico di parte)
1. Gli importi spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte sono ridotti della metà.”
In continuità si sarebbe anche dovuta rilevare la questione delle modalità di (possibile) erogazione di quanto liquidato: attesa l’equazione fra professionista dell’O.C.C. e ausiliario del Giudice svolta dal tribunale torinese, le dette somme saranno trattate in prenotazione a debito ai sensi e per gli effetti del disposto di cui all’art. 131 comma III del T.U.S.G.:
“3. Gli onorari dovuti al consulente tecnico di parte e all’ausiliario del magistrato, sono prenotati a debito, a domanda, anche nel caso di transazione della lite, se non è possibile la ripetizione dalla parte a carico della quale sono poste le spese processuali, o dalla stessa parte ammessa, per vittoria della causa o per revoca dell’ammissione. Lo stesso trattamento si applica agli onorari di notaio per lo svolgimento di funzioni ad essi demandate dal magistrato nei casi previsti dalla legge e all’indennità di custodia del bene sottoposto a sequestro. “
In ragione di ciò il compenso di quanto pertiene all’attività del gestore non verrà anticipato come avviene per i difensori giusta previsione del comma IV, lettera a), dell’art. 131 comma III del T.U.S.G.:
“4. Sono spese anticipate dall’erario:
a) gli onorari e le spese dovuti al difensore;”.
In questa fattispecie la questione integra purtroppo un’ipotesi che non permette però alcun recupero di quanto prenotato a debito.
Invero, se nei procedimenti dove è prevista una soccombenza, od almeno un risultato positivo per una delle parti, la prenotazione a debito può trovare una speranza di incasso nel momento della decisione in sentenza, in questa fattispecie non si ha speranza di effettiva percezione del compenso.
In assenza di possibile remunerazione, si condanna così il professionista con funzioni di O.C.C. a dover prendere atto che la sua attività dovrebbe esser del tutto more gratuito.
L’istituto del gratuito patrocinio vede la sua operatività defensionale a tutto campo anche in materia di sovraindebitamento: il diritto ad accedere alla difesa non può essere compresso in sede concorsuale e la disciplina vede la sussistenza dei requisiti reddituali quale unico parametro economico per consentirne l’accesso. L’ammissione al beneficio di Stato vale sia per la nomina di un professionista con funzioni di O.C.C., sia per la medesima procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Nel primo caso l’avvocato nominato in regime di patrocinio a spese dello Stato potrà chiedere la liquidazione del proprio compenso quale difensore, in misura dimidiata, e la successiva anticipazione dall’erario. Nel secondo caso, dopo l’ammissione e se non già specificato in tale sede il ruolo di ausiliario del professionista, sarà da vedersi al momento della liquidazione il titolo per il quale verrà liquidato il compenso e la correlata eventuale imputazione del medesimo a prenotazione a debito.
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Trib. Torino Sez. VI, Sent., 16-11-2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TORINO
SEZIONE SESTA CIVILE
Il g.i.
visto il ricorso proposto dal signor Yyy ai sensi dell’art. 126 tu spese di giustizia avverso il diniego da parte del Consiglio dell’Ordine di Torino di ammettere il predetto al gratuito patrocinio con riferimento a due diverse istanze, ossia a quella avente ad oggetto il procedimento avviato ex art. 15 della L. n. 3 del 2012 per la nomina di un professionista con funzioni di Occ e ad una seconda avente ad oggetto la presente procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
premesso
Il Consiglio dell’Ordine di Torino ha rigettato in data 12.11.2016 entrambe le istanze di ammissione al gratuito patrocinio con la seguente motivazione: “visto che si è avuta indicazione che il Tribunale di Torino non ritiene concedibile il beneficio per la fase iniziale della procedura di cui all’art. 7 e se. della L. n. 3 del 2012 e visto che vi è già stata nomina del professionista dott. Zzz da parte del Tribunale di Torino sez. fall in data 10.5.2016.”
Il ricorrente afferma l’erroneità della citata decisione sia perché esamina solo la prima e non la seconda istanza sia per ragioni di merito.
Afferma infatti il signor Yyy di essere titolare dei requisiti per l’ammissione relativamente ad entrambe le procedure e che, comunque, anche ad ammettere la correttezza della decisione che precede con riguardo alla prima fase, ossia al procedimento di nomina, è evidente che essa risulterebbe certamente errata in riferimento alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento vera e propria.
Afferma il signor Yyy tra l’altro che il diritto all’ammissione deriva dagli artt. 74 e 75 del D.P.R. n. 115 del 2002 e che a sostegno della necessità per i non abbienti di poter accedere al gratuito patrocinio nelle procedure regolate dalla L. n. 3 del 2012 depone la constatazione della necessità/obbligatorietà della difesa tecnica in tale procedimento.
Il reclamo merita accoglimento.
La questione oggetto del presente procedimento è ampiamente dibattuta.
A favore della tesi contraria all’ammissione del gratuito patrocinio dei soggetti che accedono alla procedura di sovraindebitamento vengono svolte argomentazioni sia relative alla natura concorsuale dei relativi istituti che tratte dall’art. 15 comma 4 della L. n. 3 del 2012.
In merito alla prima argomentazione si è affermato che la soluzione al problema deve essere negativa in considerazione della natura concorsuale delle procedure e della loro funzionalità al soddisfacimento della massa dei creditori secondo le regole, appunto, del concorso, il che implicherebbe la necessità che il debitore abbia un patrimonio che possa essere consolidato, al momento dell’apertura del concorso dei creditori, con lo scopo esclusivo di assicurare la realizzazione della garanzia ex art. 2740 c.c..
Dalla necessaria esistenza di una consistenza patrimoniale discenderebbe un’incompatibilità tra la funzione assolta dall’istituto del gratuito patrocinio (assicurare al non abbiente la tutela giurisdizionale dei sui diritti) e quella cui risponde la procedura concorsuale, del tutto diversa.
Le spese legali costituirebbero nella sostanza delle spese prededucibili, che in quanto tali dovrebbero trovare soddisfacimento, nel concorso con gli altri crediti prededucibili, da parte del debitore sovraindebitato.
Quanto alla seconda, essa si basa sull’assunto che il disposto dell’art. 15 comma 4 l.f., laddove afferma che “dalla costituzione e dal funzionamento degli organismi indicati al comma 1 non devono derivare nuovi e diversi oneri a carico della finanza pubblica..” troverebbe applicazione anche alle spese derivanti allo Stato dall’ammissione dei sovraindebitati al gratuito patrocinio.
Le tesi sopra esposte non possono essere condivise.
L’argomentazione che si basa sulla natura concorsuale parte dal presupposto che la struttura e il fine dei diversi istituti regolati dalla L. n. 3 del 2012 siano mutuati dalla struttura e dai fini dei procedimenti regolatori dell’insolvenza previsti dalla legge fallimentare e che conseguentemente debbano applicarsi ad essi le regole base ivi previste.
Ora, se pure le procedure di esdebitazione hanno certamente carattere concorsuale (così come anche peraltro, sia pure con regole meno stringenti, le mere procedure esecutive) si deve ritenere che esse hanno all’interno dell’ordinamento autonomia sistematica e di obiettivi.
Il riconoscimento dell’autonomia sistematica deriva dal fatto che il legislatore ha scelto di normarle al di fuori della legge fallimentare; ciò ben si comprende considerando che l’incapacità di far fronte alle proprie obbligazioni riguardante i soggetti interessati dalla L. n. 3 del 2012, per la maggior parte persone fisiche, è fenomeno totalmente diverso dall’insolvenza dell’imprenditore che esercita nella grandissima parte dei casi l’attività in forma societaria e con i requisiti ex art. 1 l.f., e accede o viene attinto dagli istituti previsti dalla legge fallimentare stessa.
Quanto agli obiettivi, la L. n. 3 del 2012, a fronte di un oggettivo aumento della popolazione insolvente e del credito al consumo, si è posta l’obiettivo di ristrutturare integralmente la situazione debitoria dei soggetti che si trovano nelle condizioni dalla stessa previste, evitando, a determinate condizioni, che una persona possa essere inseguita dai debiti tutta la vita, finendo frequentemente in mano agli usurai, venendo a trovarsi in condizioni di grave degrado personale con conseguente imposizione alla collettività dei costi assistenziali, ed offrendo alla stessa la cd “seconda chance”, secondo una prospettiva largamente diffusa negli Stati Uniti d’America, ossia la prospettiva di un pieno reinserimento sociale; neppure va trascurato lo scopo di far diminuire il numero delle procedure esecutive in funzione del miglior funzionamento del settore giustizia.
Trattasi evidentemente di obiettivi del tutto diversi da quelli contenuti nella legge fallimentare.
Né requisito richiesto per il sovraindebitato è quello di avere un patrimonio immediatamente “spendibile”, ben potendo lo stesso ottenere un finanziamento da terzi per pagare i debiti, ovvero proporne il pagamento utilizzando il proprio stipendio mensile ovvero liquidando dei beni; occorre solo che il debitore non superi i limiti di reddito al momento della proposizione della domanda.
Quanto al contenuto dell’art. 15 L. n. 3 del 2012 citato, trattasi di disposto contenuto nella sezione terza della L. n. 3 del 2012, che riguarda esclusivamente gli organi di composizione della crisi, e non può pertanto trovare applicazione al sovraindebitato.
E’ opportuno infatti ricordare che l’art. 24 della Costituzione italiana garantisce il diritto alla tutela giurisdizionale quale diritto fondamentale e inviolabile di ciascun individuo.
Il diritto di ciascuno di agire in giudizio (art. 24, co. 1, Cost.) deve essere letto in connessione con il diritto di difesa di cui al secondo comma dell’art. 24 Cost., che si sostanzia tra l’altro nel diritto alla cd difesa tecnica.
Come tutti i diritti inviolabili anche quello di cui all’art. 24 Cost. deve essere riconosciuto e garantito ad ogni individuo ed è perciò che l’art. 24, co. 3, della Cost. sancisce poi che “sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”, garantendo dunque l’effettività ed il concreto esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale e del diritto alla difesa anche ai soggetti che non dispongono delle risorse economiche necessarie, diversamente verificandosi un grave vulnus dei diritti costituzionalmente garantiti.
La disposizione costituzionale ha trovato attuazione nel cd. Dpr spese di giustizia che prevede all’art. 74 comma 2 che “E”, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate e all’art. 75 comma 2 che “La disciplina del patrocinio si applica, in quanto compatibile, anche nella fase dell’esecuzione, nel processo di revisione, nei processi di revocazione e opposizione di terzo, nonché nei processi relativi all’applicazione di misure di sicurezza, di prevenzione e nei processi di competenza del tribunale di sorveglianza, sempre che l’interessato debba o possa essere assistito da un difensore o da un consulente tecnico.”
Dunque la legge sancisce in via generale il diritto del cittadino che abbia i requisiti di reddito ad essere assistito da un difensore a spese dello Stato in tutti i procedimenti civili e di volontaria giurisdizione, senza eccezione alcuna tranne quella prevista dall’art. 121 t.u..
La chiara dizione della legge (debba o possa essere assistito) esclude ogni rilevanza alla questione dell’obbligo di assistenza legale nelle procedure di sovraindebitamento, dovendosi peraltro osservare che vi sono parti del procedimento in cui certamente è obbligatoria la presenza del difensore (quali i reclami ex artt. 737 c.p.c.).
Va peraltro osservato che i procedimenti regolati dalla L. n. 3 del 2012, ancorché coinvolgano nella maggior parte dei casi valori economici estremamente bassi, sono tecnicamente molto complessi (richiedendo tra l’altro sia al giudice che al legale una preparazione specifica) e comportano perciò la necessità di una difesa tecnica del sovraindebitato, difesa che non può certamente essere svolta dall’Occ per la differenza di funzione dello stesso.
Poiché il procedimento è sostanzialmente unitario, in quanto la fase di nomina dell’Occ è prodromica alla seconda fase, e stante il fatto che la legge prevede il gratuito patrocinio anche nei procedimenti di volontaria giurisdizione, l’istituto si deve applicare anche a tale prima fase.
Pur in presenza di problemi complessi quali poi evidenziatisi nel contraddittorio con i creditori, al momento della presentazione delle domande di ammissione al gratuito patrocinio le ragioni del reclamante non si presentavano quali infondate, trovandosi lo stesso in stato di sovraindebitamento e offrendo un piano di pagamento parziale ai creditori.
Il signor Yyy, avendo i limiti di reddito previsti dalla normativa sul gratuito patrocinio al momento della domanda, ha quindi diritto alla relativa ammissione, in riforma del provvedimento impugnato; si precisa che l’immobile di cui il predetto è proprietario è considerato nell’ultima dichiarazione dei redditi dallo stesso presentata secondo i valori fiscali di legge.
P.Q.M.
accoglie il reclamo proposto dal signor Yyy avverso il diniego all’ammissione al gratuito patrocinio di cui al provvedimento del Consiglio dell’Ordine di Torino;
conseguentemente ammette il signor Yyy al gratuito patrocinio sia in relazione al procedimento avviato ex art. 15 della L. n. 3 del 2012 per la nomina di un professionista con funzioni di Occ sia con riferimento alla presente procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento;
manda la Cancelleria per la trasmissione all’ufficio finanziario competente nonché al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino.
Così deciso in Torino, il 16 novembre 2017.
Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2017.