Cassazione civile, sez. II, sentenza 26 luglio 2019, n. 20385: la Corte di Legittimità precisa che per il computo del tetto reddituale necessario all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato si deve escludere il cumulo del reddito del coniuge avversario non solo nella separazione giudiziale, ma vale anche nella separazione consensuale. In ogni caso, separazione e divorzio non riguardano diritti della personalità e, quindi, si devono cumulare i redditi di tutti gli altri conviventi.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. Civ., 14.12.2017, n. 30068
Cass. Civ., 9.4.2008, n. 9174 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Nel caso concreto, dopo l’ammissione da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, l’Agenzia territoriale delle entrate, il merito revocava l’ammissione al patrocinio per la separazione consensuale, seguendo la tesi dell’agenzia e computando il reddito percepito dal nucleo familiare della ricorrente con il cumolo del reddito del richiedente l’ammissione con quello del coniuge.
Il decreto di revoca era impugnato per Cassazione
La norma, nei primi 4 commi, prevede che:
“1. Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.493,82.
2. Salvo quanto previsto dall’articolo 92, se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante.
3. Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
4. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.”
Per l’effetto del disposto del comma IV si considera il solo reddito dell’istante “quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi“.
La Cassazione ribadisce che il giudizio di separazione di cui all’art. 711 c.p.c. non ha ad oggetto diritti della personalità. Sul punto al più si deve verificare se il detto giudizio rientra nei casi nei quali gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare, con lui conviventi.
La medesima Cassazione si era già espressa sulla questione, ne avevamo parlato qui, e in riferimento alla separazione giudiziale ha statuito che “nelle cause di separazione vi è conflitto di interessi solo con il coniuge che ha promosso l’azione o che è convenuto, mentre tale conflitto non è predicabile relativamente al figlio convivente, ancorché in posizione di adesione ad una delle parti in contesa” (Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 25-10-2017) 14-12-2017, n. 30068).
Secondo la Suprema Corte, oggi si è estesa l’esclusione del cumulo anche alla separazione consensuale.
Il ricorso ad giudizio di omologazione della separazione su accordo consensuale non esclude l’assenza di interessi confliggenti tra i coniugi.
Gli esiti dell’iniziativa per la separazione non sono predefiniti, neppure nell’accesso al giudizio di omologazione su base di un accordo consensuale, che costituisce un presupposto del procedimento, ma non ha efficacia se non a seguito del controllo del giudice, che può ricusare il tenore degli accordi per ragioni di contrarietà a principi di ordine pubblico o agli interessi dei figli (cfr. l’art. 158 c.c., comma 2), come può esitare in un assetto diverso rispetto al contenuto inizialmente concordato dai coniugi.
Da ultimo si deve rilevare che, in una logica di sistema, escludere il patrocinio a spese dello Stato per la sola separazione consensuale e ammetterlo per la separazione giudiziale potrebbe generare effetti distorsivi, nel senso che incentiva ex se la scelta per questo secondo modulo anche laddove in principio non ve ne sarebbe stata ragione.
Riportiamo di seguito il testo integrale della sentenza.
per Associazione Art. 24 Cost.
Riferimenti normativi
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Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 09-04-2019) 26-07-2019, n. 20385
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso 29875/2014 proposto da:
C.M., elettivamente domiciliata in FORLI’, VIALE MATTEOTTI 105, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ROPPO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimato –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente con procura –
avverso il decreto n. 121/2010 del TRIBUNALE di FORLI’, depositato il 25/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2019 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione;
udito l’Avvocato ROPPO Francesco, difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
1. Con delibera del 28 settembre 2010 l’Ordine degli avvocati di Forlì-Cesena ammetteva (in via provvisoria) C.M. al patrocinio a spese dello Stato in relazione al procedimento di separazione personale dei coniugi, poi introdotto innanzi al Tribunale di Forlì e concluso con decreto di omologazione delle condizioni di separazione del 21 ottobre 2011.
Su istanza dell’Agenzia territoriale delle entrate, il Tribunale di Forlì, revocava – con decreto depositato il 25 novembre 2014 l’ammissione al patrocinio, sulla base della stima del reddito percepito nel 2009 dal nucleo familiare della ricorrente, pari a Euro 26.449, ottenuta cumulando il reddito personale dell’istante (Euro 10.118, somma inferiore al limite massimo di Euro 10.628,16 D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 76 e 92) con quello del coniuge (Euro 16.331).
2. Avverso il decreto di revoca ricorre per cassazione C.M. nei confronti del Ministero della giustizia e dell’Agenzia delle entrate.
L’Agenzia delle entrate, non costituitasi con controricorso nel termine di cui all’art. 370 c.p.c., ha depositato memoria “al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa”.
Rilevata la nullità della notificazione al Ministero della giustizia, effettuata presso l’Avvocatura distrettuale anzichè presso l’Avvocatura generale dello Stato, con ordinanza interlocutoria n. 13025/2018 questa Corte disponeva la rinnovazione della notificazione.
Rinnovata la notificazione, l’intimato Ministero della giustizia non ha proposto difese.
La causa, inizialmente assegnata alla trattazione in camera di consiglio, è stata rimessa, anche a seguito della richiesta della Procura Generale, alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria depositata il 15 gennaio 2019.
Motivi della decisione
I. Il ricorso è articolato in un unico motivo con cui la ricorrente lamenta che il Tribunale di Forlì, cumulando, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il suo reddito con quello del coniuge, ha violato il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76: l’articolo, al comma 4, impone di considerare il solo reddito dell’istante nei “processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi” e tra tali processi rientrano anche quelli di separazione consensuale dei coniugi in quanto; anche se i coniugi riescono a trovare un accordo circa le condizioni di separazione – afferma la ricorrente – ciò non comporta il venir meno della contrapposizione dei loro interessi.
Il ricorso pone quindi la questione della cumulabilità o meno dei redditi dei coniugi, ai fini della concessione del patrocinio a spese dello Stato in relazione ad una causa di separazione c.d. consensuale dei coniugi. Il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, al comma 2, dispone che, se l’interessato convive con il coniuge o altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante, per poi al comma 4, prevedere che si deve invece considerare il solo reddito dell’istante “quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi”.
Occorre pertanto stabilire se il giudizio di separazione di cui all’art. 711 c.p.c. – che non ha ad oggetto diritti della personalità rientra o meno nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare, con lui conviventi.
Questa Corte si è già pronunciata sulla questione in un caso di separazione giudiziale, ove era stata chiamata a stabilire se il reddito del coniuge istante va cumulato con quello dei figli conviventi. La Corte ha affermato che “nelle cause di separazione vi è conflitto di interessi solo con il coniuge che ha promosso l’azione o che è convenuto, mentre tale conflitto non è predicabile relativamente al figlio convivente, ancorchè in posizione di adesione ad una delle parti in contesa” (Cass. 30068/2017). D’altro canto – come ha osservato la Procura Generale – che il coniuge controparte non debba essere considerato nell’ambito del procedimento di separazione, ai fini della considerazione dei limiti reddituali di accesso al beneficio, si ricava già dal tenore testuale del citato art. 76, che, con il riferimento alla convivenza in unico nucleo familiare, “sterilizza” l’eventuale obiezione della persistente convivenza dei coniugi separandi quale ragione di revoca del beneficio, essendo il focus della norma, invece, la declinazione delle possibili variabili del conflitto di interessi, siano i coniugi conviventi oppure no.
L’esclusione del cumulo, ad avviso del Collegio, non va limitata al solo procedimento contenzioso di separazione giudiziale, ma vale anche per il procedimento di separazione su base concordata. Il fatto che i coniugi accedano al giudizio di omologazione sulla base di un accordo consensuale, accesso che, di regola comune, può avvenire anche unilateralmente (art. 711 c.p.c., comma 2), non comporta l’assenza di interessi configgenti tra i coniugi. D’altro canto, gli esiti dell’iniziativa per la separazione non sono predefiniti, neppure nell’accesso al giudizio di omologazione su base di un accordo consensuale, che costituisce un presupposto del procedimento, ma non ha efficacia se non a seguito del controllo del giudice, che può ricusare il tenore degli accordi per ragioni di contrarietà a principi di ordine pubblico o agli interessi dei figli (cfr. l’art. 158 c.c., comma 2), come può esitare in un assetto diverso rispetto al contenuto inizialmente concordato dai coniugi. Come afferma questa Corte, “in tema di separazione consensuale il regolamento concordato fra i coniugi ed avente ad oggetto la definizione dei loro rapporti patrimoniali, pur trovando la sua fonte nell’accordo delle parti, acquista efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione, al quale compete l’essenziale funzione di controllare che i patti intervenuti siano conformi ai superiori interessi della famiglia; ne consegue che, potendo le predette pattuizioni divenire parte costitutiva della separazione solo se questa è omologata, secondo la fattispecie complessa cui dà vita il procedimento di cui all’art. 711 c.p.c., in relazione all’art. 158 c.c., comma 1, in difetto di tale omologazione le pattuizioni convenute antecedentemente sono prive di efficacia giuridica” (così Cass. 9174/2008).
Infine, come osserva la Procura Generale, in una interpretazione complessiva che sia orientata anche alle conseguenze di sistema della tesi prescelta, lo stabilire che il patrocinio a spese dello Stato, a parità di condizioni materiali e reddituali, non abbia luogo per l’opzione per una separazione consensuale e invece possa darsi se i coniugi instano per la separazione giudiziale sembra un indirizzo suscettibile di produrre effetti distorsivi, nel senso che incentiva ex se la scelta per questo secondo modulo anche laddove in principio non ve ne sarebbe stata ragione, in contrasto con il favore per le composizioni e le forme semplificate, non per l’accentuazione del conflitto e le modalità più complesse.
II. Il ricorso è quindi accolto e il provvedimento di revoca, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, è cassato senza rinvio in quanto reso in assenza dei presupposti per la sua pronuncia.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio il provvedimento impugnato e condanna in solido l’Agenzia delle entrate e il Ministero della giustizia al pagamento delle spese del processo in favore della ricorrente che liquida in Euro 2.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della Sezione Seconda Civile, il 9 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019