REATO ANCHE LE FALSE DICHIARAZIONI NON SUPERANTI LA SOGLIA REDDITUALE
La Corte di Cassazione, con una recentissima SENTENZA (la n. 49572/2019), precisa un orientamento già espresso: è condotta penalmente rilevante anche la falsa dichiarazione di un reddito che non superi la soglia massima per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Pertanto, ciò che rileva è solo che il richiedente il beneficio abbia consapevolmente omesso la dichiarazione di un suo reddito, a nulla rilevando la non decisività di esso ai fini dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio.
In merito, la giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte affermato che “ai fini della integrazione del reato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 95, in caso di effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso”.
Pertanto, il reato sussiste anche quando la falsità o l’omissione riguardi redditi in concreto rientranti nei limiti massimi stabiliti dalla legge per ottenere il beneficio del patrocinio per non abbienti a spese dello Stato, nondimeno in tal caso occorre verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l’omissione fosse realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non fosse piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo.
Sul punto, è stata rimessa alle Sezioni Unite la soluzione della questione: “Se la falsità o incompletezza dell’autocertificazione allegata all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ne comporti l’inammissibilità e, dunque, la revoca, in caso di intervenuta ammissione, anche nell’ipotesi in cui i redditi effettivi non superino il limite di legge; ovvero in tale ultima ipotesi, non incidendo sull’ammissibilità dell’istanza, ne determini la revoca soltanto nei casi espressamente previsti dagli artt. 95 e 112 del D.P.R. n. 115 del 2002” (Cass. pen. Sez. IV Ord., 04/06/2019, n. 29284).
Si riporta di seguito il testo il testo integrale della sentenza, con una tabella della giurisprudenza di riferimento.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Inerenti e conformi | Cassazione penale Sez. 4, Sentenza n. 45786 del 04/05/2017 Cassazione penale Sez. 4, Sentenza n. 7192 del 11/01/2018 Cassazione penale Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015 Cassazione penale Sez. 4, Sentenza n. 20836 del 16/04/2019, Cassazione Penale Sez. 4 Ordinanza n. 29284 del 04/06/2019 Cass. pen. Sez. 4 Sentenza n. 12410 del 06/03/2019 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
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RIFERIMENTI NORMATIVI
- D.P.R. 30.5.2002, n. 115, art. 76
- D.P.R. 30.5.2002, n. 115, art. 95
DPR 30/05/2002, n. 115ORDINAMENTO GIUDIZIARIO (GENERALITA’)ART. 95 (L) (Sanzioni)
1. La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’articolo 79, comma 1, lettere b), c) e d), sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37. La pena è aumentata se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato.
Alberto Vigani
per Associazione Art. 24 Cost.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MENICHETTI Carla – Presidente –
Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere –
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere –
Dott. TANGA Antonio L. – Consigliere –
Dott. PAVICH Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.V., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/02/2019 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. PAVICH GIUSEPPE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. PEDICINI ETTORE che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
dato atto che nessun difensore è presente.
Svolgimento del processo
1. M.V., per il tramite del suo difensore di fiducia, ricorre avverso la sentenza con la quale, in data 25 febbraio 2019, la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la condanna pronunziata a suo carico dal Tribunale nisseno in data 15 febbraio 2018 in relazione al reato p.e p. dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, ascritto al M. per avere egli, secondo l’imputazione, falsamente dichiarato, nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio da lui presentata il 21 maggio 2012, che nè lui, nè i componenti il suo nucleo familiare percepissero redditi per l’anno 2011, laddove successivamente si appurava che egli aveva percepito, per quell’anno, un reddito di Euro 150, mentre la moglie aveva percepito un reddito pari a 6.260,00: il reato – contestato al M. con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale – consisteva nel fatto che il reddito suddetto era bensì rientrante nei limiti di quello consentito, ma nondimeno la relativa dichiarazione era stata omessa dall’imputato, a nulla rilevando la non decisività di esso ai fini dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio.
1.1. Nell’unico motivo di ricorso, il M. lamenta carenza di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui essa non argomenta adeguatamente la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, a fronte del fatto che l’odierno ricorrente aveva lamentato di avere omesso di dichiarare i predetti redditi in modo assolutamente inconsapevole e non per dolo.
Sul punto la motivazione offerta dalla Corte di merito riguarda solo la pacifica sussistenza della falsità e l’asserita configurabilità del dolo generico, ma non si è soffermata sul fatto che essa fosse ininfluente ai fini dell’ammissione al beneficio.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
In proposito, è ben vero che, in tema di gratuito patrocinio a spese dello Stato, ai fini della integrazione del reato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 95, in caso di effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 45786 del 04/05/2017, Bonofiglio, Rv. 271051; Sez. 4, Sentenza n. 7192 del 11/01/2018, Zappia, Rv. 272192).
Se, cioè, è ben vero che il reato sussiste anche quando la falsità o l’omissione riguardi redditi in concreto rientranti nei limiti massimi stabiliti dalla legge per ottenere il beneficio del patrocinio per non abbienti a spese dello Stato, nondimeno in tal caso occorre verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l’omissione fosse realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non fosse piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo.
Sulla questione tuttavia la Corte di merito ha specificamente motivato, escludendo che la dichiarazione difforme dal vero resa dal M. (il quale nel giudizio di merito aveva sostenuto che non era in grado di comprendere quanto risultante dall’ISEE, stante il suo basso grado di istruzione) potesse essere frutto di mera negligenza, atteso che la dichiarazione da lui rilasciata fa specifico riferimento all’assenza di qualunque introito, e che il reddito percepito dalla moglie convivente, per quanto modesto, non è di entità assolutamente irrisoria, attestandosi pur sempre attorno ai 6.000 Euro annui.
In aggiunta a quanto precede, è opportuno rammentare che il D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 76, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui al cit. D.Lgs., art. 95, non costituisce legge extrapenale in ordine alla quale l’errore da parte del soggetto attivo possa avere incidenza scusante.
Ciò in quanto deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per “legge diversa dalla legge penale” ai sensi dell’art. 47 c.p. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente (Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015, Bucca, Rv. 263013).
2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019
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