DOPO LA PRESCRIZIONE, PER DAVIGO ANCHE LA DIFESA COSTITUZIONALE DEI NON ABBIENTI VA DEMOLITA
Tra le nuove ricette per far funzionare la giustizia di Piercamillo Davigo, ex pm di Mani pulite e oggi membro del Consiglio superiore della magistratura, c’è anche la riforma del “Gratuito Patrocinio”.
Siccome a un lettore ordinario l’idea potrebbe apparire inverosimile, ecco la frase testuale del «Dottor Sottile», che dimentica la Costituzione e la stessa relazione ministeriale di qualche giorno fa: “Io rivedrei il patrocinio gratuito a spese dello Stato per i non abbienti. La non abbienza è una categoria fantasiosa, perché molti imputati risultano nullatenenti. Così lo Stato paga i loro avvocati a piè di lista per tutti gli atti compiuti, e quelli compiono più atti possibile per aumentare la parcella. Molto meglio fissare un forfait una tantum secondo i tipi di processo: così gli avvocati perdono interesse a compiere atti inutili. E lo Stato, con i risparmi, può difendere gratis le vittime, che invece la dichiarazione dei redditi la presentano e di rado accedono al gratuito patrocinio”.
Dice proprio così: «La non abbienza è una categoria fantasiosa». Per Davigo la previsione dell’art. 24, comma terzo, della Costituzione è una fantasia.
L’ultimo parto del Davigo-pensiero è ripreso dal consueto compagno di militanza Marco Travaglio, con una nota intervista comparsa sul Fatto quotidiano del 9 gennaio dove già si straparlava di efficienza del processo.
La scelta forcaiola del giornalista è ben conosciuta, ma che sia supportata da un magistrato che siede al CSM crea qualche sconcerto.
Qualche dubbio?
Ebbene, l’idea di intervenire sul sistema del «gratuito patrocinio», che assicura un difensore a chi non può permetterselo, dimentica già che si tratta di un altro istituto, ovvero il “patrocinio a spese dello Stato” atto a dare una difesa – non solo penale – a tutti coloro che non hanno i mezzi per sostenerla, che siano parti processuali, indagati e pur anche vittime. Infatti è proprio il citato art. 24 della carta costituzionale che impedisce di dimenticarsi di questo principio di civiltà giuridica disponendo che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento e che sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione“.
Lo strumento operativo è poi lo stesso Testo Unico Spese di Giustizia (DPR 115/2002) che disciplina le modalità di accesso alla difesa a carico dello Stato.
Non parliamo quindi di norme oscure e sconosciute.
E detta previsione è conforme a quanto presente in tutti gli altri paesi europei dove gli stanziamenti e la garanzia processuale sono assicurati agli interessati persino in misura maggiore che nel nostri ordinamento.
Basta?
Non basta.
Il dott. Davigo sbaglia anche a raccontare che il “patrocinio a spese dello Stato” arricchisce i legali: la frase «Lo Stato paga a piè di lista per tutti gli atti compiuti, e quelli compiono più atti possibili per aumentare la parcella» è errata sia concettualmente che sotto il profilo operativo.
In giro per l’Europa il bilancio dell’istituto della difesa dei non abbienti riceve molti più stanziamenti che in Italia e i singoli compensi sono maggiori all’estero.
Lo dice sia il CEPEJ – il documento del Consiglio d’Europa ove si certifica un diffuso maggior stanziamento procapite al sistema giustizia e al Legal AID- che la relazione del ministro di giustizia alle Camere fornita nelle scorse settimane in adempimento proprio dell’art. 294 del TUSG: il compenso medio per un intero processo penale è di meno € 800 mentre nel civile scende persino a circa € 400. Un intero processo è pagato come una lavatrice e nessuno se ne può certo arricchire
Siamo al ridicolo: per capire quanto siamo lontani dalla realtà basta evidenziare che nella penisola si impiegano per il patrocinio a spese meno di 4 euro per persona, mentre in Francia siamo ad oltre € 5, Spagna quasi € 6 ed in Germania ad oltre € 8. E, per buona pace del Davigo-pensiero, in detto budget ci sta anche l’assistenza a tante vittime che hanno parimenti diritto alla difesa pagata dallo Stato in presenza dei requisiti reddituali e, in casi come nei reati a sfondo sessuale, anche a prescindere da ogni limite reddituale.
Peraltro, raccontare che vi è una superfetazione dell’attività processuale causata dall’opportunismo degli avvocati è una castroneria in diritto che dimostra la non conoscenza di Davigo del medesimo DM 55/2014, regolante le modalità di liquidazione dell’attività processuale con la limitazione al computo delle singole fasi processuali, e non computante tutte le individuali attività svolte. In altre parole, si paga quanto lavorato per come raggruppato in fasi processuali (introduzione giudizio, istruzione, decisione) e non si calcolano i singoli atti come fossero etti di prosciutto.
E ricordiamolo: le fasi processuali le decide il Giudice riconoscendole secondo la previsione del Codice di rito, non se le inventa l’avvocato.
La soluzione proposta da Davigo di «un forfait una tantum» è perciò resa impossibile proprio dallo stato dei fatti e, visti i costi processuali odierni del patrocinio a spese dello Stato, forse è nella realtà già applicata nella prassi.
Magari la questione del miglioramento della giustizia, se davvero la si vuole cercare, va invece valutata alla luce del budget destinato alla Giustizia e del numero di magistrati impiegati in Italia. Altrove, nei paesi europei che prendiamo sempre ad esempio, si fa ben di più e con maggiore soddisfazione della popolazione interessata dal locale servizio giustizia (vedasi Justice Scoreboard 2018).
Da ultimo, pare utile ricordare che discriminare a priori chi sia il soggetto senza reddito sembra la ricerca di un modo arbitrario per ammettere alla difesa solo le persone che si scelgono per comodo o partigianeria, così escludendo proprio coloro che soffrono di maggiore indigenza.
D’altro canto, è pure utile ricordare che già esiste un potere del giudice di verifica dell’ammissibilità al beneficio della difesa di Stato anche a prescindere da ciò che risulta dalla dichiarazione dei redditi, apposta tenendo conto del reale tenore di vita del richiedente.
Il dott. Davigo ha quindi proposto una sua personale soluzione ad un presunto problema che:
- nei fatti ha natura opposta di quella descritta (ci sono pochi soldi rispetto alle necessità effettive);
- è affrontato con un approccio tecnico bastevole a dimostrare che nemmeno si conosce l’impianto normativo di ciò di cui si discorre.
Chiudiamo sottolineando che il magistrato svolge la funzione giudiziaria ed è giusto che si interessi dello stato della giustizia, ma nulla richiede che un magistrato dell’organo di autogoverno della magistratura debba anche proporsi per svolgere attività politica e legislativa.
Alberto Vigani
per Associazione Art. 24 Cost.
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Io non mi lamento delle frasi sicuramente non confomri alla realtà del dott. Davigo. NO. mi lamento della visibilità che il magistrato ha:Nei social.sulla stampa(in realtà speao Sella stampa forcaiola),dovunque! Il suo modo di ragionare è davvero abberrante per uno stato demoratico e non rispettoso deela Costituzione!!
Tutto vero.
Alessio