GRATUITO PATROCINIO: CASSAZIONE VUOLE CASSAZIONISTA PER REVOCA DECRETO DI LIQUIDAZIONE
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. pen. sez. I, ord. 17 novembre 2004, n. 44679 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15/10/2020) 13-01-2021, n. 1117
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOVERE Salvatore – Presidente –
Dott. NARDIN Maura – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere –
Dott. BELLINI Ugo – rel. Consigliere –
Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.C., nata a (OMISSIS);
Avv.to V.S.M., nata a (OMISSIS);
nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Avverso il decreto 5.12.2018 del Tribunale di Palmi;
Udita la relazione svolta dal consigliere Dott. BELLINI Ugo;
lette le conclusioni del P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso di P.C. e in accoglimento del ricorso dell’avv.to V. annullarsi senza rinvio il provvedimento impugnato.
Svolgimento del processo
1. L’avvocato V.S.M. in proprio e quale difensore di P.C., già ammessa al Patrocinio a spese dello Stato, ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale di Palmi il quale, revocato il provvedimento di ammissione al patrocinio ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 112, comma 1, lett. d), disponeva altresì la revoca del decreto di liquidazione a favore del difensore ricorrente in relazione ai compensi professionali maturati nella fase dinanzi al giudice per le indagini preliminari di Palmi.
2. L’esponente lamenta che il giudicante ha esercitato una potestà non consentita dalla legge. Rileva che l’ordinamento non prevede che il giudice possa revocare il decreto di liquidazione, posto che il difensore è titolare di un diritto soggettivo patrimoniale. Il ricorrente sottolinea, al riguardo, che la disciplina dettata dal D.P.R. n. 115 del 2002 non contempla il potere di autotutela.
Sotto altro aspetto, il deducente rileva come recente giurisprudenza di legittimità aveva distinto le vicende processuali relative al provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio, rispetto a quelle concernenti il decreto di liquidazione del compenso al difensore che aveva assunto la difesa della persona ammessa al patrocinio, assumendo che la caducazione del primo non determina l’inefficacia del secondo, trattandosi di provvedimento esecutivo, decisorio, autonomamente impugnabile e suscettibile di acquisire forza di giudicato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso impone i rilievi che seguono.
2. L’esponente ha proposto ricorso per cassazione, avverso il provvedimento di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato a favore di P.C. e del decreto di liquidazione degli onorari a favore del difensore ricorrente, adottato dal Tribunale di Palmi su richiesta dell’Agenzia delle Entrate. La parte ha proceduto legittimamente, atteso che, nel caso di specie, trattandosi di revoca dell’ammissione al patrocino a spese dello Stato disposta su richiesta dell’Ufficio finanziario, sussistono i presupposti per il ricorso per cassazione, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 113.
La Corte regolatrice ha infatti ripetutamente affermato che in tema di patrocinio a spese dello Stato, nel caso di revoca dell’ammissione al beneficio disposta su richiesta dall’amministrazione finanziaria – come nel caso di specie l’interessato, ove non intenda proporre opposizione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 99, ha la facoltà di ricorrere direttamente per cassazione, ai sensi del D.P.R. cit., art. 113, per violazione di legge (Sez. 4, Sentenza n. 11771 del 07/12/2016, dep. 10/03/2017, Doratiotto, Rv. 269672).
3. Tanto premesso, va ancora evidenziato come i ricorrenti non contestino le ragioni poste a fondamento del provvedimento di revoca del decreto di ammissione dell’imputata P. al Patrocinio a spese dello Stato, indicate dall’Ufficio delle Entrate al Tribunale di Palmi, ma si limitino a dedure violazione di legge per essere stata disposta la revoca del decreto di liquidazione dei compensi al difensore nella fase dinanzi al giudice per le indagini preliminari assumendo, sulla scorta di recente giurisprudenza del S.C, che il provvedimento di liquidazione ha una propria autonomia, decisoria e funzionale, che non consente di fare dipendere la sua efficacia dalla sopravvenuta caducazione del provvedimento presupposto.
4. Peraltro, così delimitato il thema decidendum, deve ritenersi la inammissibilità di entrambi i ricorsi.
Con riferimento al ricorso avanzato dal difensore della P., richiedente la liquidazione e destinatario tanto del decreto di liquidazione che di quello di revoca, quale soggetto certamente legittimato ad impugnare la revoca, in quanto titolare di un interesse concreto a vedersi riconosciuto il diritto a riscuotere il compenso professionale, ricorre un difetto di rappresentanza processuale, atteso che è “inammissibile il ricorso, proposto contro il provvedimento che abbia rigettato l’opposizione al diniego di liquidazione dei compensi professionali prestati in materia di gratuito patrocinio, allorchè il gravame venga personalmente sottoscritto dal difensore della persona ammessa al beneficio, atteso che il ricorrente indipendentemente dalla propria qualifica professionale – assume nel procedimento il ruolo di parte e deve pertanto avvalersi della rappresentanza, nel giudizio di legittimità, di un difensore iscritto nell’albo speciale” (sez.1, Ord. 21.10.2004, Chiodo e altro, Rv.230300).
Il giudice di legittimità richiamando l’insegnamento delle sezioni unite (21 Maggio 2003, Pellegrino, Rv.224610) sulla ricorribilità dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione penale per violazione di legge del provvedimento adottato in sede reclamo avverso la liquidazione del compenso al difensore di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, rileva che non è rilevante che il difensore ricorrente abbia rivestito la qualità di avvocato anche iscritto nell’albo speciale sopra ricordato, dal momento che tale qualità lo abilita alla rappresentanza delle altre parti private, non già all’autotutela dei propri interessi civili nel procedimento sottoposto alla normativa penale, che non consente appunto l’autodifesa dinanzi al giudice penale.
Nella specie va infatti evidenziato come l’avv.to V.S.M. agisca in proprio e abbia sottoscritto personalmente il ricorso e non mediante la rappresentanza di difensore inserito nell’apposito albo dei difensori ammessi al patrocinio dinanzi alle Magistrature superiori e pertanto il ricorso deve dichiararsi inammissibile per difetto di rappresentanza.
5. Inammissibile per carenza di interesse ad impugnare è invece il ricorso proposto dall’imputata P., soggetto del tutto indifferente all’esito dell’accoglimento del presente ricorso, il quale attiene alla revoca del decreto di liquidazione dei compensi al proprio difensore, laddove nessun risultato utile può per esso conseguire da un eventuale accoglimento della impugnazione.
In primo luogo essa è del tutto estranea al meccanismo liquidatorio che presuppone la predisposizione da parte del difensore di una richiesta di liquidazione, sulla base dei criteri fissati dai regolamenti che disciplinano le tariffe forensi, come eventualmente integrati e calmierati dalle disposizioni del D.P.R. n. 115 del 2000. Alla parte viene riconosciuto il diritto di proporre opposizione avverso il decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2000, trattandosi di procedimento teso al consolidamento di una pretesa creditoria destinata a indicare, con la forza del titolo esecutivo, il controvalore della prestazione resa dal difensore, la effettività delle prestazioni rese e ad identificare il soggetto che si assume creditore con il professionista nominato dalla parte ammessa al patrocinio a Spese dello Stato.
6. Neppure un interesse mediato ed astratto può essere riconosciuto alla parte rappresentata rispetto al provvedimento che revoca la liquidazione del pagamento della prestazione, ormai determinata in relazione al soggetto creditore e al quantum della liquidazione. Se è vero infatti che il difensore che ha già svolto la prestazione professionale non può più esercitare il proprio diritto nei confronti dell’Erario, che appunto trae scaturigine dal provvedimento di ammissione, di riscuotere i compensi professionali, così da doversi rivolgere direttamente al proprio officiante (sez. 3, 21.4.2010, Borra, Rv.248093), quest’ultimo non potrà ricevere alcun beneficio dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione contro la revoca del provvedimento di ammissione in quanto, in caso di accoglimento di tale gravame, l’Erario rivolgerà nei suoi confronti l’azione di recupero. L’art. 112, comma 1, lett. d) TU spese di giustizia prevede la revoca del provvedimento di ammissione di ufficio su richiesta dell’ufficio finanziario competente e, comunque, non oltre cinque anni dalla definizione del processo, se risulta la mancanza originaria e sopravvenuta delle condizioni di reddito di cui agli artt. 76 e 92, ipotesi realizzata nel caso in specie. In tale ipotesi la revoca del decreto di ammissione ha efficacia retroattiva (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 114, comma 2) e le spese di cui all’art. 107 sono recuperate nei confronti dell’imputato (D.P.R. n. 115 del 2012, art. 111). In sostanza l’astratto interesse della parte a vedere riconoscere il diritto del proprio difensore a ricevere la liquidazione del proprio compenso professionale da parte dell’Erario, già di per sè interesse meramente eventuale ed astratto, risulterebbe comunque oltre modo vanificato dall’esercizio nei propri confronti dell’azione di recupero da parte dello Stato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 107.
7. In conclusione deve escludersi l’interesse, attuale e concreto, di P.C., ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a), ad interporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento di revoca del decreto di liquidazione compensi a favore del proprio difensore, quale conseguenza della revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e pertanto i ricorsi devono essere dichiarati entrambi inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, indicata come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021