La Cassazione, con ordinanza 14 luglio 2022, n. 22257, conferma il suo orientamento:
la disposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, che impone di liquidare l’onorario e le spese al difensore in modo che l’importo non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, va interpretata nel senso che la media dei valori tariffari funge da limite massimo, ma non nel senso che la liquidazione debba avvenire necessariamente secondo la media delle tariffe.
Il compenso (anche nel penale) può quindi essere liquidato anche in misura inferiore alla media, purchè nel rispetto dei valori minimi e previa adeguata motivazione.
Di seguito la giurisprudenza di riferimento in ordine cronologico (7 massime sempre conformi dal 2011, con le due sentenze integrali da ultime uscite)
per Associazione Art. 24 Cost.
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In tema di patrocinio a spese dello Stato, i criteri cui l’autorità giudiziaria ha l’obbligo di attenersi nella liquidazione degli onorari e delle spese spettanti al difensore, ai sensi dell’art. 82 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, devono ritenersi esaustivi, sicchè il giudice, nell’applicare la tariffa professionale, non può invece fare riferimento anche ai criteri integrativi e adeguatori della tariffa medesima.
Non è infatti operante l’art. 1, comma 2, della tariffa penale di cui al d.m. 8 aprile 2004 n. 127, che consente di quadruplicare il compenso per le cause che richiedono un particolare impegno per la complessità dei fatti o per le questioni giuridiche trattate.
Questo sia per l’espresso divieto, contenuto nel citato art. 82, del superamento dei valori medi di tariffa, sia perchè la norma già contempla la natura dell’impegno professionale come un elemento da prendere in considerazione ai fini della liquidazione del compenso tra il minimo della tariffa e la media di tali valori. (Rigetta, App. Milano, 17/07/2007)
Fonti:
CED Cassazione, 2011
In tema di patrocinio a spese dello Stato, la disposizione di cui all’art. 82 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che impone di liquidare l’onorario e le spese al difensore in modo che l’importo non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, va interpretata nel senso che la media dei valori tariffari funge da limite massimo, non nel senso che la liquidazione debba avvenire necessariamente secondo la media delle tariffe, potendo il compenso essere liquidato anche in misura inferiore alla media, purché non al di sotto delle tariffe minime. (Rigetta, Trib. Reggio Calabria, 16/07/2010)
Fonti:
CED Cassazione, 2011
In tema di patrocinio a spese dello Stato, è manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002 per violazione degli artt. 3, 24 e 36 Cost., giacché la previsione di limiti nella determinazione degli onorari contempera ragionevolmente la necessità di assicurare la difesa tecnica del non abbiente e retribuire l’attività del legale con l’incidenza del relativo costo sull’intera collettività. (Rigetta, App. Milano, 18/05/2009)
Fonti:
CED Cassazione, 2015
In tema di patrocinio a spese dello Stato, la disposizione di cui all’art. 82 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che impone di liquidare l’onorario e le spese al difensore in modo che l’importo non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, va interpretata nel senso che la media dei valori tariffari funge da limite massimo, non nel senso che la liquidazione debba avvenire necessariamente secondo la media delle tariffe, potendo il compenso essere liquidato anche in misura inferiore ad essa, purché non al di sotto delle tariffe minime. (Rigetta, TRIBUNALE VERONA, 11/01/2018)
Fonti:
CED Cassazione, 2019
La liquidazione dell’onorario e delle spese in favore del difensore di ufficio, che abbia dimostrato di avere invano esperito le procedure per il recupero del proprio credito, va effettuata, stante l’espresso richiamo che l’art. 116 del d.P.R. n. 115 del 2002 fa al precedente art. 82, con riferimento “ai valori medi delle tariffe professionali vigenti”, i quali fungono da limite massimo; sicché il compenso ben può essere determinato in misura inferiore alla media delle tariffe medesime, purché non al di sotto di quelle minime. (Cassa con rinvio, TRIBUNALE LUCCA, 16/05/2016)
Fonti:
CED Cassazione, 2021
In tema di patrocinio a spese dello Stato, il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile ha diritto ad un compenso che non deve essere superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, potendo quindi applicarsi il valore della tariffa in vigore e riducendolo del 50% corrispondente, cui aggiungere l’ulteriore decurtazione di cui all’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002: siffatta modalità di liquidazione non costituisce violazione del minimo tariffario, da un lato in quanto si tratta di disposizione speciale, applicabile soltanto alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile, e dall’altro lato in quanto, per detta specifica ipotesi, si ravvisano le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo. (Rigetta, TRIBUNALE LECCO, 21/02/2020)
La liquidazione delle spettanze del difensore della persona ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non deve superare il valore medio della tariffa, nè tale valore di partenza può essere ridotto al di sotto del minimo (Cass. 4759/2022; Cass. 31404/2019; Cass. 26643/2011).
Sul compenso così determinato, anche se nei valori minimi, la successiva applicazione della ulteriore decurtazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 106-bis, non costituisce violazione del minimo tariffario: la norma costituisce disposizione speciale, applicabile alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile, per le quali sussistono le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo, che avevano condotto questa Corte a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130 in tema di gratuito patrocinio (Cass. 9808/2013, Corte Cost. 350/2005, Corte Cost. 201/2006 e 270/2012).
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso iscritto al n. 22675/2018 R.G. proposto da:
F.G., rappresentato e difeso da sè stesso, con domicilio in San Bonifacio, Corso Venezia n. 112/D. – ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12. – controricorrente –
avverso l’ordinanza del Tribunale di Verona, depositata in data 11.1.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 4.7.2019 dal Consigliere Dott. Fortunato Giuseppe.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Verona ha respinto l’opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, proposta dall’avv. F., avverso il decreto con cui gli era stato liquidato il compenso per il patrocinio svolto in favore di V.P..
L’opponente aveva dedotto di aver svolto le attività stragiudiziali ed avviato il procedimento di mediazione, di aver inoltre instaurato un giudizio per il risarcimento del danno, conclusosi con conciliazione giudiziale dopo lo svolgimento di varie udienze.
Il compenso era stato liquidato in Euro 505,25, oltre accessori, in applicazione dei minimi tabellari, tenuto conto dell’importo riconosciuto in sede di conciliazione (Euro 6300,00).
Nel confermare il decreto di liquidazione, il tribunale ha osservato che non erano stati prodotti gli atti del giudizio e che non vi era alcun elemento per verificare l’incongruità dell’applicazione dei minimi, rilevando inoltre che non era stato chiesto il compenso per la mediazione.
La cassazione dell’ordinanza è chiesta dall’avv. F. sulla base di tre motivi di ricorso, illustrati con memoria.
Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo denuncia la violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che il tribunale non abbia pronunciato sul motivo di opposizione con cui era stata denunciata l’errata applicazione dei minimi tabellari.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2233 c.c., D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82 e D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, sostenendo che il tribunale avrebbe omesso di pronunciare sul motivo di opposizione volto a censurare il difetto assoluto di motivazione quanto alla quantificazione del compenso nei valori minimi.
Il terzo motivo denuncia la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130, per aver il tribunale omesso di indicare i parametri utilizzati per la liquidazione, pervenendo ad una quantificazione inferiore ai minimi. I tre motivi, che possono essere esaminasti congiuntamente, sono infondati.
Le censure pur invocando la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, prospettano – in primo luogo – un’omissione di pronuncia sui motivi di opposizione, riconducibile all’errata applicazione dell’art. 112 c.p.c..
Tuttavia, anche nel regime processuale risultante dalle modiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, la suddetta violazione non integra la mancata valutazione di un fatto oggettivo, principale o secondario, ma pertiene alla specifica domanda introdotta in giudizio, oggetto di esame da parte del giudice dell’opposizione e ciò anche considerando che detta opposizione non sostanzia un rimedio impugnatorio, ma apre una fase del giudizio a cognizione piena, conferendo al giudice il potere di riesaminare integralmente il provvedimento di liquidazione (Cass. 1470/2018; Cass. s.u. 8516/2012).
In ogni caso non è ravvisabile alcun difetto di motivazione nè un’omissione di pronuncia, avendo la sentenza dato atto – con statuizione non impugnata e con argomentazione che, per quanto sintetica, appare logica, non contraddittoria e pienamente intellegibile – che il ricorrente non aveva prodotto gli atti di causa, impedendo di procedere ad una diversa e maggiore quantificazione del compenso.
Non era quindi possibile emendare il decreto di liquidazione tanto più che neppure in ricorso risultano evidenziate circostanze decisive, già dedotte nel giudizio di opposizione, che avrebbero dovuto indurre il tribunale a riformare la prima pronuncia.
1.2. La decisione non è inoltre censurabile per essersi discostata dai valori medi: la disposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, che impone di liquidare l’onorario e le spese al difensore in modo che l’importo non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, va interpretata nel senso che la media dei valori tariffari funge da limite massimo, ma non nel senso che la liquidazione debba avvenire necessariamente secondo la media delle tariffe, potendo il compenso essere liquidato anche in misura inferiore alla media, purchè nel rispetto dei valori minimi (Cass. 26643/2011).
Il tribunale ha inoltre confermato il decreto che aveva liquidato i compensi per le sole attività documentate e quindi ha tenuto ferma la precedente liquidazione per fasi, mentre, riguardo all’istruttoria, il ricorso non indica dove e quando, nel giudizio di merito, avesse dedotto di aver svolto e provato eventuali attività istruttorie, posto che – come affermato dal giudice di merito – non erano stati acquisiti gli atti del processo, essendo irrilevante che, come asserito nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., nessuna contestazione sia stata sollevata in sede di legittimità dall’amministrazione resistente.
Quanto alle attività esitate nella conciliazione, è sufficiente osservare che il quantum complessivamente liquidato (Euro 505,25) ascende ad un importo non inferiore ai minimi tabellari in relazione alle fasi e alle attività che il giudice di merito ha ritenuto effettivamente espletate ed è quindi conforme ai criteri richiamati nel provvedimento impugnato, tenuto però conto della riduzione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130, applicata ai suddetti valori minimi sulla base della somma ottenuta dalla parte a titolo di risarcimento del danno (Euro 6300,00).
Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.
Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare atto che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 800,00 per esborsi oltre alle spese prenotate a debito.
Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 luglio 2019.
Depositato in cancelleria il 2 dicembre 2019
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso iscritto al n. 24699/2021 R.G., proposto da:
G.C., rappresentata e difesa in proprio, con domicilio in Milano, alla Via Negroli n. 34;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t.;
– intimato –
avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano, pubblicata in data 20.7.2021;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del giorno 1.7.2022 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. L’avv. G.C. è stata nominata difensore di ufficio in un procedimento penale a carico di S.V.. Espletato l’incarico professionale, ha chiesto la liquidazione del compenso, che, con ordinanza emessa in data 8.1.2021, è stato quantificato in Euro 960,00. Su opposizione del difensore, il Tribunale ha confermato il provvedimento, dichiarando legittima l’applicazione dei minimi tabellari, con successiva riduzione di un terzo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 106 bis.
La cassazione dell’ordinanza è chiesta dall’avv. G.C. con ricorso in due motivi, illustrati con memoria.
Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.
Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso poteva essere definito ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, il Presidente ha fissato l’adunanza in Camera di Consiglio.
2. Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82, 106 bis e 116, del D.M. n. 55 del 2014, artt. 1 e ss. e della L. n. 27 del 2012, art. 9, sostenendo che illegittimamente il Tribunale abbia liquidato un importo inferiore ai minimi tabellari, applicando erroneamente congiuntamente sia la riduzione al 50% dei parametri medi, che l’ulteriore decurtazione di un terzo prevista per i giudizi penali, essendo inoltre irrilevante che il compenso fosse conforme agli importi previsti dal Protocollo d’intesa tra il Tribunale e il Consiglio dell’ordine.
Il secondo motivo denuncia l’insufficiente motivazione dell’ordinanza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver il Tribunale dato conto delle ragioni per cui ha ritenuto applicabili i minimi tabellari.
I due motivi sono inammissibili.
L’importo liquidato, pari ad Euro 970,00, è la risultante della congiunta applicazione dei minimi tabellari e della riduzione di un terzo previsto per la difesa d’ufficio ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 106 bis.
La possibilità di operare detta riduzione sul compenso quantificato nei minimi è espressamente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte.
La liquidazione delle spettanze del difensore della persona ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non deve superare il valore medio della tariffa, nè tale valore di partenza può essere ridotto al di sotto del minimo (Cass. 4759/2022; Cass. 31404/2019; Cass. 26643/2011).
Sul compenso così determinato, anche se nei valori minimi, la successiva applicazione della ulteriore decurtazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 106-bis, non costituisce violazione del minimo tariffario: la norma costituisce disposizione speciale, applicabile alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile, per le quali sussistono le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo, che avevano condotto questa Corte a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130 in tema di gratuito patrocinio (Cass. 9808/2013, Corte Cost. 350/2005, Corte Cost. 201/2006 e 270/2012).
Anche in questo caso, infatti, si configura un contenuto sacrificio delle aspettative economiche del professionista, che non ne svilisce il ruolo, posto che la riduzione prevista dall’art. 106-bis cit. non riduce il compenso ad un valore meramente simbolico, nè viene determinato a prescindere dalla valutazione della natura, contenuto e pregio dell’attività (Cass. 4759/2022).
Non possono condividersi le argomentazioni formulate dalla ricorrente nella memoria circa l’inapplicabilità della riduzione in caso di difesa d’ufficio, non essendo pertinente il precedente di questa Corte di cui all’ordinanza n. 14085/2022, che attiene agli effetti che discendono dalla dichiarazione di inammissibilità della domanda D.P.R. n. 115 del 2002 ex art. 106, mentre la riduzione ai sensi del successivo art. 106 bis cit. è certamente applicabile alla difesa d’ufficio (sebbene solo per le prestazioni svolte dopo l’entrata in vigore della disposizione: cfr. Corte Cost. 13/2016; Cass. 3534/2021), estendendosi all’ipotesi in esame i criteri e le modalità di calcolo del compenso previsti per il patrocinio a spese dello Stato.
Riguardo al dedotto vizio di motivazione, il tribunale ha spiegato che era stato lo stesso difensore a richiedere l’applicazione dei minimi, con argomentazione che dà logicamente conto dei criteri adottati.
Il ricorso è quindi inammissibile.
Non luogo a provvedere sulle spese, non avendo il Ministero svolto difese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Conclusione
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2022
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Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A).
Pubblicato nella Gazz. Uff. 15 giugno 2002, n. 139, S.O.
Decreto Presidente della Repubblica 30/05/2002, n. 115
1. L’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa. 112
2. Nel caso in cui il difensore nominato dall’interessato sia iscritto in un elenco degli avvocati di un distretto di corte d’appello diverso da quello in cui ha sede il magistrato competente a conoscere del merito o il magistrato davanti al quale pende il processo, non sono dovute le spese e le indennità di trasferta previste dalla tariffa professionale.
3. Il decreto di pagamento è comunicato al difensore e alle parti, compreso il pubblico ministero.
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Decreto Presidente della Repubblica 30/05/2002, n. 115
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A).
Pubblicato nella Gazz. Uff. 15 giugno 2002, n. 139, S.O.
1. Gli importi spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte sono ridotti della metà.
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Ministero della giustizia – Decreto ministeriale 10/03/2014, n. 55
Capo II
Disposizioni concernenti l’attività giudiziale
In vigore dal 27 aprile 2018
1. Ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In ordine alla difficoltà dell’affare si tiene particolare conto dei contrasti giurisprudenziali, e della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente e con altri soggetti. Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati di regola sino all’80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Per la fase istruttoria l’aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione in ogni caso non oltre il 70 per cento.3
1-bis. Il compenso determinato tenuto conto dei parametri generali di cui al comma 1 è di regola ulteriormente aumentato del 30 per cento quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto.4
2. Quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta. La disposizione di cui al periodo precedente si applica quando più cause vengono riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti.5
3. Quando l’avvocato assiste ambedue i coniugi nel procedimento per separazione consensuale e nel divorzio a istanza congiunta, il compenso è liquidato di regola con una maggiorazione del 20 per cento su quello altrimenti liquidabile per l’assistenza di un solo soggetto.
4. Nell’ipotesi in cui, ferma l’identità di posizione processuale dei vari soggetti, la prestazione professionale nei confronti di questi non comporta l’esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto, il compenso altrimenti liquidabile per l’assistenza di un solo soggetto è ridotto in misura non superiore al 30 per cento.6
5. Il compenso è liquidato per fasi. Con riferimento alle diverse fasi del giudizio si intende esemplificativamente:
a) per fase di studio della controversia: l’esame e lo studio degli atti a seguito della consultazione con il cliente, le ispezioni dei luoghi, la ricerca dei documenti e la conseguente relazione o parere, scritti oppure orali, al cliente, precedenti la costituzione in giudizio;
b) per fase introduttiva del giudizio: gli atti introduttivi del giudizio e di costituzione in giudizio, e il relativo esame incluso quello degli allegati, quali ricorsi, controricorsi, citazioni, comparse, chiamate di terzo ed esame delle relative autorizzazioni giudiziali, l’esame di provvedimenti giudiziali di fissazione della prima udienza, memorie iniziali, interventi, istanze, impugnazioni, le relative notificazioni, l’esame delle corrispondenti relate, l’iscrizione a ruolo, il versamento del contributo unificato, le rinnovazioni o riassunzioni della domanda, le autentiche di firma o l’esame della procura notarile, la formazione del fascicolo e della posizione della pratica in studio, le ulteriori consultazioni con il cliente;
c) per fase istruttoria:
le richieste di prova, le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d’impugnazione, eccezioni e conclusioni,
l’esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell’istruzione,
gli adempimenti o le prestazioni connesse ai suddetti provvedimenti giudiziali, le partecipazioni e assistenze relative ad attività istruttorie,
gli atti necessari per la formazione della prova o del mezzo istruttorio anche quando disposto d’ufficio, la designazione di consulenti di parte,
l’esame delle corrispondenti attività e designazioni delle altre parti, l’esame delle deduzioni dei consulenti d’ufficio o delle altre parti,
la notificazione delle domande nuove o di altri atti nel corso del giudizio compresi quelli al contumace, le relative richieste di copie al cancelliere,
le istanze al giudice in qualsiasi forma, le dichiarazioni rese nei casi previsti dalla legge, le deduzioni a verbale, le intimazioni dei testimoni, comprese le notificazioni
e l’esame delle relative relate, i procedimenti comunque incidentali comprese le querele di falso e quelli inerenti alla verificazione delle scritture private.
Al fine di valutare il grado di complessità della fase rilevano, in particolare, le plurime memorie per parte, necessarie o autorizzate dal giudice, comunque denominate ma non meramente illustrative, ovvero le plurime richieste istruttorie ammesse per ciascuna parte e le plurime prove assunte per ciascuna parte. La fase rileva ai fini della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta;
d) per fase decisionale: le precisazioni delle conclusioni e l’esame di quelle delle altre parti, le memorie, illustrative o conclusionali anche in replica, compreso il loro deposito ed esame, la discussione orale, sia in camera di consiglio che in udienza pubblica, le note illustrative accessorie a quest’ultima, la redazione e il deposito delle note spese, l’esame e la registrazione o pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio, comprese le richieste di copie al cancelliere, il ritiro del fascicolo, l’iscrizione di ipoteca giudiziale del provvedimento conclusivo stesso; il giudice, nella liquidazione della fase, tiene conto, in ogni caso, di tutte le attività successive alla decisione e che non rientrano, in particolare, nella fase di cui alla lettera e);
e) per fase di studio e introduttiva del procedimento esecutivo: la disamina del titolo esecutivo, la notificazione dello stesso unitamente al precetto, l’esame delle relative relate, il pignoramento e l’esame del relativo verbale, le iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, gli atti d’intervento, le ispezioni ipotecarie, catastali, l’esame dei relativi atti;
f) per fase istruttoria e di trattazione del procedimento esecutivo: ogni attività del procedimento stesso non compresa nella lettera e), quali le assistenze all’udienza o agli atti esecutivi di qualsiasi tipo.
6. Nell’ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione del compenso è di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale fermo quanto maturato per l’attività precedentemente svolta.
7. Costituisce elemento di valutazione negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso, l’adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli.
8. Il compenso da liquidare giudizialmente a carico del soccombente costituito può essere aumentato fino a un terzo rispetto a quello altrimenti liquidabile quando le difese della parte vittoriosa sono risultate manifestamente fondate.
9. Nel caso di responsabilità processuale ai sensi dell’articolo 96 del codice di procedura civile, ovvero, comunque, nei casi d’inammissibilità o improponibilità o improcedibilità della domanda, il compenso dovuto all’avvocato del soccombente è ridotto, ove concorrano gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione, del 50 per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile.
10. Nel caso di controversie a norma dell’articolo 140-bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il compenso può essere aumentato fino al triplo rispetto a quello altrimenti liquidabile.
10-bis. Nel caso di giudizi innanzi al Tribunale amministrativo regionale e al Consiglio di Stato il compenso relativo alla fase introduttiva del giudizio è di regola aumentato sino al 50 per cento quando sono proposti motivi aggiunti.
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