Riportiamo di seguito il testo integrale della sentenza e la norma di riferimento.
per Associazione Art. 24 Cost.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FALASCHI Milena – Presidente Dott. PAPA Patrizia – Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro – Rel. Consigliere ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso 15657-2022 proposto da: A.A., elettivamente domiciliata in FIRENZE, VIA PIAN DEI CARPINI 21, presso lo studio dell’avvocato ABBATE GIUSEPPINA, che la rappresenta e difende; – ricorrente – contro MINISTERO DELLA GIUSTIZIA; – resistente – nonché contro B.B.; – intimata – avverso l’ordinanza ex art. 702 ter cod. proc. civ. del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 13/04/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; lette le memorie della ricorrente.
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con delibera n. 2520 del 2 dicembre 2020, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze ammetteva B.B. al patrocinio a spese dello Stato. Incardinata la mediazione, all’esito di alcuni incontri, le parti pervenivano ad un accordo col quale concludevano positivamente la procedura, sottoscrivendo un verbale di conciliazione in data 28 maggio 2021.
L’avv. A.A. depositava, quindi, presso il Tribunale di Firenze istanza di liquidazione del compenso maturato in relazione all’attività professionale espletata, che veniva respinta con decreto n. 2592 del 15 ottobre 2021, in base alla motivazione secondo cui alla corresponsione del compenso in favore del predetto difensore osterebbe l’art. 75 d.P.R. 115/2002 (T.U. spese di giustizia), il quale, facendo riferimento ad “ogni grado e fase del processo o ad eventuali procedure che nel processo si innestino”, escluderebbe l’applicazione della normativa sul patrocinio a spese dello Stato alle procedure stragiudiziali che non sfociano in una lite giudiziaria, ovvero che, quando questa è già pendente, non si inseriscono all’interno di essa, come è nel caso della mediazione obbligatoria conclusasi con esito positivo.
L’avv. A.A. proponeva opposizione ex art. 702 bis cod. proc. civ. avverso il decreto di rigetto, chiedendo la liquidazione, in proprio favore, di un compenso pari ad euro 5.760,00 oltre spese generali ed accessori di legge. Ai fini della riforma della decisione gravata richiamava un precedente del medesimo Tribunale (ordinanza 31 maggio 2021, R.G. n. 8356/2020) che, analogamente a quanto previsto dall’art. 10 D.Lgs. 116/2005 per le controversie transfontaliere, concludeva per l’estensione del patrocinio a spese dello Stato ai procedimenti stragiudiziali obbligatori ex lege; ciò a prescindere dal successivo svolgimento della fase giurisdizionale, che i procedimenti di mediazione hanno proprio la finalità di evitare.
In prossimità della decisione, la ricorrente produceva in giudizio la sentenza n. 10/2022 della Corte costituzionale , con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, co. II e 75, co. I, d.P.R. 115/2002 , nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito del procedimento di mediazione disciplinato dall’art. 5, co. I bis, D.Lgs. 28/2010 , quando nel corso dello stesso sia stato raggiunto un accordo per la composizione bonaria della lite, nonché del successivo art. 83, co. II, ove non prevede che alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.
Il Tribunale di Firenze con ordinanza del 13 aprile 2022 rigettava l’opposizione, ritenendo che la Corte costituzionale, pur avendo accolto la questione di costituzionalità delle norme censurate, avesse tuttavia inteso condividere un precedente in materia di questa Corte (cfr. Cass. Civ., sentenza n. 18123/2020 ). Nella decisione de qua, proprio perché chiamato a pronunciarsi prima dell’intervento demolitorio della Consulta, questa Corte aveva statuito che il limite posto dalle disposizioni di legge richiamate – che ad oggi non consentirebbero la liquidazione dell’attività professionale svolta in sede di mediazione, quando non abbia avuto luogo la lite giudiziale – non poteva essere superato in via interpretativa, pena lo sconfinare della decisione nell’ambito della vera e propria produzione normativa.
Il Ministero della Giustizia, a favore del quale è stata rinnovata la notifica del ricorso ai sensi dell’art. 377, u.c., cod. proc. civ., si è costituito in giudizio ai soli fini della eventuale discussione orale della causa.
L’altra intimata non ha svolto difese in questa fase.
Come già ricordato, con tale pronuncia è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, co. II, e 75, co. I, d.P.R. 115/2002 , nella parte in cui escludono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5 , co. 1 bis, D.Lgs. 28/2010 , quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo fra le parti, nonché dell’art. 83, co. II del medesimo d.P.R. 115/2002 , nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.
Dalla declaratoria di incostituzionalità delle disposizioni citate discenderebbe, secondo la ricorrente, l’erroneità del rigetto del ricorso in opposizione, ed in particolare la contraddittorietà ed illogicità della motivazione posta a fondamento di esso, che invero valorizza a tal fine la citata sentenza n. 18123/2020 di questa Suprema Corte – che adotta, come detto, una soluzione sfavorevole alla ricorrente – nonostante sia cronologicamente anteriore alla pronuncia di inconstituzionalità in parola e, quindi, da essa superata. Invero, la sentenza della Consulta, pur demandando al legislatore una compiuta e specifica disciplina della materia, afferma il diritto del difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio alla percezione del proprio compenso anche nei casi di mediazione obbligatoria che non sia successivamente sfociata in una lite giudiziaria. Rileva la ricorrente, dunque, come la pronuncia del giudice delle leggi abbia travolto gli argomenti a suo tempo spesi dalla giurisprudenza di legittimità per escludere l’applicazione del beneficio in relazione a tali ipotesi, e ai quali il Tribunale di Firenze si richiama onde motivare il diniego di liquidazione, relativi al rischio di sconfinamento nella produzione normativa, all’esigenza di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia e, in generale, degli oneri economici statuali.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge (art. 360, co. I, n. 3, cod. proc. civ.) in cui sarebbe incorsa l’ordinanza impugnata per avere deciso la controversia in senso opposto a quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 10/2022 , la quale ha enunciato un principio già esistente nell’ordinamento per necessità imposta dalla Costituzione, ma la cui applicazione veniva concretamente ostacolata da una illegittima limitazione/esclusione imputabile al legislatore ordinario, che è stata in tal modo rimossa.
Deduce quindi la ricorrente che il Tribunale di Firenze ha violato gli artt. 74, co. II, 75, co. I e 83, co. II, d.P.R. 115/2002 , per avere dato una lettura delle norme in questione contraria all’interpretazione costituzionalmente imposta.
Quanto al primo, l’interpretazione che il giudice a quo ha offerto della sentenza n. 10/2022 della Corte costituzionale , alla luce della precedente decisione di questa Corte n. 18123/2020, è priva d’ogni fondamento logico. Invero la Corte Costituzionale, dopo l’emissione di quest’ultima sentenza, e diversi mesi prima che fosse decisa in primo grado la causa in esame, ha preso in analisi una fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio e l’ha decisa nel senso prospettato dalla ricorrente, ossia reputando non conformi a Costituzione gli artt. 74, co. II, 75, co. I e 83, co. II, d.P.R. 115/2002 , in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., poiché circoscrivono il diritto del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato a ricevere il compenso per l’attività difensiva svolta solo quando questa abbia natura giudiziale. Ne consegue che, dal 21 gennaio 2022 (giorno successivo alla pubblicazione della sentenza de qua), in armonia con l’art. 136 Cost. – che prevede l’espunzione dall’ordinamento e la conseguente cessazione dell’efficacia delle norme giudicate incostituzionali a partire dal giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento ricognitivo del vizio – la norma che limitava il riferimento della disciplina sul patrocinio a spese dello Stato ai soli procedimenti giudiziali ha cessato di avere vigore e, pertanto, la decisione giudiziale che continui, ciononostante, a farne applicazione deve qualificarsi illegittima.
Plurimi sono i principi di rango costituzionale che la Corte ha ritenuto violati dalla normativa censurata.
In primo luogo, il principio di ragionevolezza, desumibile dall’art. 3 , co. I, Cost., che impone il riconoscimento al difensore del compenso per l’attività stragiudiziale espletata, specialmente nei casi in cui essa ha consentito, anche grazie all’impegno dello stesso, lo scopo deflattivo perseguito dal legislatore. Invero, a detta della Consulta, “il nesso di strumentalità necessaria con il processo e la riconducibilità della mediazione alle forme di giurisdizione condizionata aventi finalità deflattive costituiscono elementi che rendono del tutto distonica e priva di alcuna ragionevole giustificazione l’esclusione del patrocinio a spese dello Stato quando la medesima mediazione si sia conclusa con successo e non sia stata in concreto seguita dalla proposizione giudiziale della domanda. In tal modo, infatti, il suddetto patrocinio risulta contraddittoriamente escluso proprio nei casi in cui il procedimento de quo ha raggiunto – in ipotesi anche grazie all’impegno dei difensori – lo scopo deflattivo prefissato dal legislatore”.
La normativa censurata, nella sua formulazione originaria comprimeva altresì il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3, co. II, Cost.) in relazione al diritto inviolabile di difesa (art. 24 Cost.), in quanto impediva a quanti versano in condizione di non abbienza “l’effettività dell’accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale” (cfr. Corte cost., sentenza n. 157/2021 ).
Come sottolineato nella pronuncia di incostituzionalità, l’esigenza di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia non può impedire l’esercizio, da parte dei cittadini, di un diritto costituzionalmente garantito ed inviolabile quale quello alla difesa in giudizio; sicché le spese erariali volte a realizzarlo sono “costituzionalmente necessarie”, poiché inerenti “all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili”.
Ne consegue che tanto l’argomento dell’equilibrio di bilancio quanto quello dello sconfinamento nella produzione normativa -impiegati in passato anche da questa Corte per escludere l’estendibilità del beneficio alla difesa tecnica che non è stata esperita in ambito giudiziale – non sono più invocabili, in quanto definitivamente e pacificamente superati dalla sentenza della Consulta, che, quale decisione “additiva di principio”, consegna al legislatore e agli interpreti, appunto, un principio di rango costituzionale che è stato oggetto di riconoscimento anche da parte della più recente giurisprudenza di legittimità. Nell’ordinanza n. 3888/2023 questa Corte ha invero adeguato l’interpretazione della normativa censurata alla lettura che ne è costituzionalmente imposta, per come precisata dalla Consulta: “(…) per effetto dell’intervento del giudice delle leggi sussiste il diritto alla liquidazione del compenso vantato dall’avvocato che abbia assistito la parte in una procedura di mediazione, ma sul presupposto indefettibile che la mediazione abbia carattere obbligatorio”.
La sentenza della Corte costituzionale, al paragrafo 11 ha poi aggiunto che: “Rimane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare, nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio”.
Trattasi di affermazione che nell’immediato impone di dover riconoscere il diritto alla liquidazione del compenso in favore del difensore della parte beneficiaria del patrocinio a spese dello Stato che abbia positivamente concluso una procedura di mediazione obbligatoria, ma che al tempo stesso non preclude al legislatore di poter provvedere in futuro alla attività di integrazione normativa ritenuta opportuna in quanto conseguente alla pronuncia additiva.
Al riguardo proprio la Consulta ha recentemente ribadito nella sentenza n. 88/2018 che questa in presenza di pronunce di accoglimento additive di principio, da un lato è demandato “ai giudici comuni trarre dalla decisione i necessari corollari sul piano applicativo, avvalendosi degli strumenti ermeneutici a loro disposizione”; mentre al legislatore compete di “provvedere eventualmente a disciplinare, nel modo più sollecito e opportuno, gli aspetti che apparissero bisognevoli di apposita regolamentazione”.
La giurisprudenza costituzionale radicalmente esclude che siffatto meccanismo di “riparazione” alle omissioni normative sia lesivo delle attribuzioni legislative, giacché l’integrazione da parte della giurisdizione comune non si colloca sul piano della normazione generale e astratta, bensì su quello della regola del caso concreto: “La dichiarazione di illegittimità costituzionale di una omissione legislativa – com’è quella ravvisata nell’ipotesi di mancata previsione, da parte della norma regolatrice di un diritto costituzionalmente garantito, di un meccanismo idoneo ad assicurare l’effettività di questo – mentre lascia al legislatore, riconoscendone l’innegabile competenza, di introdurre e di disciplinare anche retroattivamente tale meccanismo in via di normazione astratta, somministra essa stessa un principio cui il giudice comune è abilitato a fare riferimento per porre frattanto rimedio all’omissione in via di individuazione della regola del caso concreto” (cfr. Corte cost., sentenza n. 295/1991 ).
Dello stesso avviso è anche questa Suprema Corte, che nella sentenza delle Sezioni Unite n. 1946/2017 ha chiarito i rapporti della giurisprudenza costituzionale additiva con l’art. 136 Cost., proprio al fine di evitare che la prassi giurisdizionale comune finisca col vanificare la regola posta da quest’ultima previsione: “Trattandosi di una sentenza di illegittimità costituzionale, essa produce gli effetti di cui agli artt. 136 Cost. e 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 , sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale: la norma dichiarata costituzionalmente illegittima (…) cessa di avere efficacia e non può avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Quindi, il fatto che la pronuncia della Consulta si limiti a consegnare un principio, senza contestualmente introdurre regole di dettaglio self-executing, “non esonera gli organi giurisdizionali, in attesa che il legislatore adempia al suo compito, dall’applicazione diretta di quel principio”. Ciò in quanto “l’affermazione di principio contenuta nel dispositivo di incostituzionalità non è semplice espressione di orientamento di politica del diritto, destinata a trovare realizzazione a condizione di un futuro intervento del legislatore che trasformi la pronuncia della Corte costituzionale in regole di diritto positivo. Essa è, invece, diritto vigente, capace di valere per forza propria, in quanto derivante dalla Costituzione: la legge alla quale il giudice è soggetto per il principio di legalità nella giurisdizione (art. 101 , secondo comma, Cost.) è quella che risulta dalla addizione del principio ad opera della sentenza di illegittimità costituzionale”.
Di conseguenza questa Corte non può esimersi dall’osservare che, ove si riconoscessero effetti vincolanti soltanto alla parte ablatoria della decisione additiva, e invece valore meramente persuasivo al principio in essa formulato, si verrebbe a negare la stessa funzione assolta dalle sentenze di accoglimento del Giudice delle leggi, le quali apparrebbero come meramente dichiarative dell’incostituzionalità di omissioni legislative e, proprio perché non seguite dall’applicazione concreta del principio da esse enunciato, non agevolmente armonizzabili con il disposto dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della l. n. 87/1953 , che invece postulano l’espunzione e la cessazione dell’efficacia della norma incostituzionale quale il necessario ed inevitabile effetto della dichiarazione di incostituzionalità.
Ne deriva che è evidentemente fondata, per tutte le considerazioni sinora svolte, la denunzia circa la violazione degli artt. 74, co. II, 75, co. I e 83, co. II, d.P.R. 115/2002 da parte dell’ordinanza impugnata, che, avendo concluso per l’esclusione ad un caso di mediazione obbligatoria sine iudicio dell’applicazione dei principi ivi aggiunti per effetto del diritto alla liquidazione del compenso, è incorsa in violazione di legge rilevante in questa sede ai sensi dell’art. 360, co. I, n. 3, codice di rito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio al Tribunale di Firenze, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Conclusione
Così deciso nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2024.