Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), in sede giurisdizionale, conferma che è lecita la domanda dell’avvocato di essere pagato dal cliente, e quindi senza inclusione nel gratuito patrocinio, per ogni attività stragiudiziale prestata per attività non necessaria o comunque prodromica d’un successivo e conseguente processo, e ciò vale nonostante siano presenti i requisiti soggettivi ed oggettivi sufficienti all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato del cliente assistito.
La previsione di pagamento direttamente all’avvocato si spiega in ragione del disposto dell’art. 74 del D.P.R. n. 115/02: il preciso disposto del Testo Unico Spese di Giustizia ora richiamato statuisce la limitazione dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato alla sola attività professionale svolta nell’ambito del processo e, per converso, l’esclusione di quella di natura stragiudiziale realizzata che non sia preliminare ad un instaurando giudizio. Quest’utima perciò non può essere richiesta in pagamento allo Stato, ma resta a carico del cliente nel cui interesse è svolta.
“L’attività professionale di natura stragiudiziale, che l’avvocato si trovi a svolgere
nell’interesse del proprio assistito, non è ammessa al patrocinio a spese
dello Stato ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in quanto esplicantesi fuori del processo, sicché il relativo compenso si pone a carico del cliente.”
La lettera della norma, in unione alla riportata sentenza, non appare dare spazio ad attuali diverse interpretazioni.
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ART. 74 (L)
(Istituzione del patrocinio)1. È assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria.
2. E’, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco, rel. Tinelli), sentenza del 28 dicembre 2017, n. 254
NOTA:
In senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Broccardo), sentenza del 15 dicembre 2011, n. 210, confermata in sede di Legittimità da Cass. SS.UU., sent. n. 9529/2013.N. 95/15 R.G.
RD n. 254/17
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in seduta pubblica, nella sua sede presso il Ministero della Giustizia, in Roma, presenti i Signori:
– Avv. Francesco LOGRIECO
Presidente f.f.
– Avv. Carla BROCCARDO
Segretario f.f.
– Avv. Giuseppe Gaetano IACONA
Componente
– Avv. Antonio BAFFA
“
– Avv. Francesco CAIA
“
– Avv. Davide CALABRO’
“
– Avv. Antonio DE MICHELE
“
– Avv. Lucio Del PAGGIO
“
– Avv. Angelo ESPOSITO“
– Avv. Antonino GAZIANO “
– Avv. Diego GERACI “
– Avv. Giuseppe LABRIOLA “
– Avv. Enrico MERLI“
– Avv. Carlo ORLANDO “
– Avv. Andrea PASQUALIN “
– Avv. Michele SALAZAR“
– Avv. Celestina TINELLI “
con l’intervento del rappresentante il P.G. presso la Corte di Cassazione nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Agnello Rossi ha emesso la seguenteSENTENZA
- sul ricorso presentato dall’Avv. [RICORRENTE] (cf [OMISSIS]) nata a [OMISSIS], in data [OMISSIS], con studio in [OMISSIS], piazza [OMISSIS], avverso la decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano emesso in data 27/10/2014 con la quale le è stata inflitta la sanzione disciplinare della censura.
- la ricorrente, avv [RICORRENTE] è comparsa personalmente;
- Per il Consiglio dell’Ordine, regolarmente citato, nessuno è presente;
Udita la relazione del Consigliere avv. Celestina Tinelli;
Inteso il P.G., il quale ha concluso chiedendo in via preliminare il rigetto del ricorso e, in subordine, la riduzione della sanzione all’avvertimento;
Inteso la ricorrente, la quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e in via subordinata la riduzione della sanzione.
FATTO
Il procedimento disciplinare traeva origine da un esposto inoltrato dalla sig.ra
[ESPONENTE], protocollato dal COA di Milano al n. 625/2013, dal quale emergeva che l’avv. [RICORRENTE], difensore della sig.ra [ESPONENTE] in una vicenda di separazione personale tra coniugi culminata nella proposizione di un ricorso in sede giurisdizionale, percepiva dalla propria assistita, la somma di Euro 2800,00, sulla base di fattura emessa a seguito dell’inizio del contenzioso giurisdizionale, in relazione al quale la sig.ra [ESPONENTE] era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato. A tale somma, si aggiungeva quella ulteriore di Euro 1000,00, corrisposti a seguito di ulteriore nota spese presentata dalla incolpata.Avverso il predetto esposto la ricorrente depositava una prima memoria difensiva.
In data 10.03.2014 il Consiglio territoriale deliberava l’apertura del procedimento disciplinare, con il seguente capo di incolpazione:
“essere venuta meno ai principi di lealtà correttezza e probità per aver richiesto ed ottenuto dalla sig.ra [ESPONENTE], sua patrocinata la somma di € 2.800 quale compenso per l’attività svolta in suo favore, benchè la sig.ra [ESPONENTE] fosse ammessa al patrocinio a spese dello Stato”.In seguito a ciò l’odierna ricorrente presentava una seconda memoria difensiva nella quale indicava anche alcuni testimoni a proprio discarico.
Dopo essere stata citata dal COA di Milano, per l’audizione, all’udienza del 27.10.2014, la ricorrente depositava, in data 15.10.2014, lista testi e capitoli nel procedimento disciplinare a suo carico R.g 8/2014.
Il COA sentiva l’esponente e la avv. [RICORRENTE], riteneva superflue le
testimonianze dedotte e ritenuta provata la responsabilità disciplinare, applicava lasanzione della censura. In particolare, il COA riteneva provato – all’esito dell’istruttoria – che i compensi percepiti dall’incolpata non erano riferibili ad attività stragiudiziale, visto il tenore delle fatture emesse, e che, in ogni caso, la violazione dei doveri di lealtà e correttezza discenderebbe comunque dalla mancata comunicazione all’assistita del previsto costo della consulenza stragiudiziale, anche alla luce delle condizioni economiche di quest’ultima.Con ricorso depositato presso l’Ordine degli Avvocati di Milano, in data 8 gennaio 2015 l’Avv. [RICORRENTE] impugnava la decisione chiedendone l’annullamento ed il proscioglimento dagli addebiti.
Il ricorso è articolato in cinque motivi.
Con il primo motivo di ricorso, l’Avv. [RICORRENTE] lamenta insufficiente motivazione del provvedimento, per essersi il COA procedente basato unicamente sulle dichiarazioni dell’esponente.
Con il secondo motivo, l’Avv. [RICORRENTE] censura la decisione del COA, che aveva provveduto contra alligata et probata, con particolare riferimento al disconoscimento della nota spese di Euro 6700,00 e al fatto che non risultava provato che avesse chiesto compensi per l’attività giudiziale.
Con il terzo motivo di ricorso, censura il mancato accoglimento, da parte del COA, dell’istanza di escussione testi a difesa, reiterando l’istanza istruttoria e specificando le circostanze della prova testimoniale.
Con il quarto motivo di ricorso, censura la decisione per violazione di legge con
riferimento alla normativa in tema di patrocinio a spese dello Stato. Ritiene l’avv.
[RICORRENTE], che il DPR 115/02 testualmente limita l’ammissione al patrocinio ai soli compensi per attività giudiziale, per cui il professionista resta libero di richiedere al cliente compensi per l’attività stragiudiziale svolta. A sostegno della censura vengono citati precedenti dello stesso COA di Milano.Con il quinto motivo di impugnazione, si ribadisce la carenza di legittimazione
dell’esponente, atteso che i pagamenti furono effettuati dal padre della sig.ra
[ESPONENTE] e non già direttamente dalla stessa.DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Il primo motivo e il secondo motivo di censura sono fondati in quanto il COA di Milano non tiene conto di tutte le evidenze documentali, istruttorie e difensive. Il provvedimento impugnato non è correttamente motivato, in quanto la valutazione disciplinare è avvenuta solo ed esclusivamente sulla base delle dichiarazioni accusatorie dell’esponente, portatore di un proprio interesse personale nella vicenda, fin a non tenere conto delle dichiarazioni della stessa esponente a vantaggio della ricorrente.In particolare, dalle dichiarazioni della ricorrente emerge che i rapporti professionali con la esponente signora [ESPONENTE] erano iniziati nel maggio 2012. Emerge ed è provata dalla copiosa corrispondenza intercorsa col legale del marito della signora[ESPONENTE] (avv. [TIZIO]), e dalle molte conferenze di trattazione telefoniche, in studio e fuori studio, che vi era stata attività stragiudiziale ai fini del bonario componimento del conflitto coniugale, nell’interesse dei figli minori e anche ai fini di riconciliazione dei coniugi.
Non ultimo per importanza, lo svolgimento di una intensa attività stragiudiziale trova riscontro nell’esposto della signora [ESPONENTE], laddove quest’ultima dichiara “.. seguivano nel mese di settembre 2012 trattative stragiudiziali tra i rispettivi legali delle parti che permettessero di addivenire ad un procedimento di separazione di natura consensuale” (punto 4 dell’esposto).Emerge inoltre che solo a inizio di ottobre 2012 la signora [ESPONENTE] decideva di promuovere causa di separazione giudiziale “per l’impossibilità di raggiungere accordi transattivi” (punto 5 dell’esposto).
La signora [ESPONENTE], sempre nell’esposto dichiara testualmente: “ … durante il primo incontro avvenuto con la professionista ….. l’Avv. [RICORRENTE] decideva di accettare il mandato ad assisterla, ventilando, altresì, la possibilità per la deducente di essere ammessa al gratuito patrocinio in relazione alla suddetta vertenza con il coniuge ”(punto 2 dell’esposto).
Emerge che in data 2 ottobre 2012 la signora [ESPONENTE] si recò in Tribunale a Lodi per depositare la relativa domanda.
Emerge che le fatture emesse dalla ricorrente portano ad oggetto prestazioni di
consulenza e sono state pagate dal padre della esponente sig. [ESPONENTE]
mediante assegni bancari prodotti agli atti.
Risulta altresì provato dalla lettera raccomandata consegnata a mani in data 23 aprile 2013 che fra i documenti consegnati da parte della ricorrente alla sig.ra [ESPONENTE] a seguito della revoca del mandato (doc. 33 del fascicolo della ricorrente) non fosse presente alcuna “nota riepilogativa”, fermo restando che la stessa era stata disconosciuta dalla ricorrente.Insomma manca la prova conclusiva della consegna da parte della avv. [RICORRENTE] alla esponente, di una nota riepilogativa dell’importo di € 6.700.
Sul valore probatorio delle dichiarazioni dell’esponente, vi è copiosa giurisprudenza di questo Consiglio nel senso che l’ampio potere discrezionale deve fondarsi sulla necessità dell’analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti del procedimento, che rappresentano un criterio logico giuridico inequivocabile a favore della completezza e definitività dell’istruttoria.E’ infondato anche il terzo motivo, poiché questo Consiglio condivide la decisione del COA di Milano di non ascoltare i testi indicati nelle memorie endoprocedimentali, atteso che le dichiarazioni delle parti interessate e la documentazione sono da ritenersi esaustive, seppur con decisione finale di contenuto contrario alle conclusioni cui è pervenuta il consiglio territoriale.
Infatti, questo Consiglio ritiene di essere già in possesso di elementi sufficienti per la decisione nel merito, e dunque va rigettata la istanza di riapertura della istruttoria anche in quanto le prove testimoniali dedotte sono volte a provare aspetti sovrabbondanti, non necessari alla decisione.Il quarto motivo di censura è fondato.
L’attività professionale di natura stragiudiziale, che l’avvocato si trovi a svolgere
nell’interesse del proprio assistito, non è ammessa al patrocinio a spese
dello Stato ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in quanto esplicantesi fuori del processo, sicché il relativo compenso si pone a carico del cliente.E’ dunque legittima la richiesta di compenso direttamente al cliente da parte
dell’avvocato per l’attività stragiudiziale prestata, ancorché in presenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per una sua ammissione al patrocinio a spese
dello Stato, posto che, in forza della disciplina posta dal D.P.R. n. 115/02, l’attività professionale di natura stragiudiziale non può essere richiesta allo Stato, ma resta a carico del cliente nel cui interesse è svolta. A maggior ragione, se come nella fattispecie, l’attività stragiudiziale era stata svolta inizialmente a tutela della prole minorenne e per tentare la riconciliazione dei coniugi, e dopo per concordare i patti di una eventuale separazione consensuale, tentativo quest’ultimo naufragato, per cui si procedeva con la separazione giudiziale sotto l’egida del patrocinio a spese dello Stato.In ogni caso, vista la copiosa corrispondenza ed esaminata tutta l’attività presta ta extra giudizio, ritenuto che lastessa non possa essere contenuta nell’ambito dell’attività prodromica al giudizio, l’attività stragiudiziale svolta dalla ricorrente appare correttamente suscettibile di separato compenso.
Tale decisione trova riscontro, peraltro, nella deliberazione del COA di Milano, laddove riscontrando la richiesta della ricorrente presentata il 10.05.2013 (prot. N. 360/13), volta all’opinamento delle prestazioni antecedenti al provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato per i procedimenti civili, deliberava nella seduta del 13.06.2013 che “sulla base delle indicazioni fornite, l’attività stragiudiziale non è fra le prestazioni professionali riconosciute e quindi remunerate dal patrocinio a spese Stato.
Il compenso per tale attività può essere richiesto al proprio assistito” (vedasi i documenti nn 28 e 29 allegati al ricorso di impugnazione della avv. [RICORRENTE]).
Quanto al quinto motivo di impugnazione, esso è infondato. La circostanza secondo cui la sig.ra [ESPONENTE] non avrebbe legittimazione attiva all’azione, appare priva di fondamento.
Se è vero che può ben accadere che il cliente (ovvero colui che attribuisce il mandato) e la parte assistita (colei che attribuisce la procura) siano persone diverse, con legittimazione solo in capo al primo di lagnarsi della percezione di somme non dovute, non pare che, nel caso di specie, sussista tale distinzione.
A confermarlo sono le stesse fatture prodotte nel presente giudizio, che sono tutte
intestate alla sig.ra [ESPONENTE], che evidentemente era la persona deputata al pagamento.
Il fatto che a pagare il compenso sia stato materialmente il padre della esponente, certo non modifica il rapporto obbligatorio, né il soggetto che ha conferito il mandato.
Sotto il profilo civilistico si tratta in sostanza di un accollo “di cortesia” od ancora di un adempimento del terzo, che, lo si ripete, non mutano alcunchè sotto il profilo della legittimazione all’esposto.
La decisione, più che sulla base del ben noto principio della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, pare ricavarsi da una complessiva lettura degli atti del giudizio ed in particolare, come già evidenziato, dall’interrogatorio della esponente, reso in sede di giudizio disciplinare.A pagina 8 del predetto interrogatorio, la sig.ra [ESPONENTE] asserisce di aver
consegnato, nell’aprile 2013, momento della revoca del mandato la somma di € 1.000, nonostante, a suo dire la richiesta fosse più alta.
Tale dazione, da considerarsi a tutti gli effetti spontanea, costituisce un riconoscimento implicito della debenza e quantomeno presuntivamente fa ritenere che fossero chiare per sig.ra [ESPONENTE] le ragioni del pagamento. All’epoca non v’è dubbio che la esponente sapesse di essere stata ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato (la richiesta è dell’ottobre 2012) e conseguentemente sapesse che nulla era dovuto all’Avv. [RICORRENTE] per l’attività giudiziale. Nonostante ciò, riteneva equo per l’attività prestata (evidentemente stragiudiziale) corrispondere, oltre alle somme già versate, gli ulteriori euro 1.000. Pare dunque logico ritenere che, come sostenuto dalla
ricorrente, tutte le somme percepite afferissero alla fase stragiudiziale pre
iudicio.Vale la pena di sottolineare, in questa sede, come sulla base della documentazione
prodotta, è indubbio che l’Avv. [RICORRENTE] abbia svolto una attività anche
stragiudiziale di un certo pregio e piuttosto rilevante, che giustifica pienamente l’importo ricevuto.
In virtù di quanto già detto è corretto ritenere che le somme ricevute dalla ricorrente fanno riferimento ad attività stragiudiziale, che la ricorrente ha edotto la cliente sul diritto ad avere il patrocinio a spese dello Stato, e non è alcuna prova della percezione di somme non dovute ad opera della ricorrente.P.Q.M.
visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 e gli artt. 59 e segg. del R.D.
22.1.1934, n. 37;Il Consiglio Nazionale Forense accoglie il ricorso.
Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenz a in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri datiidentificativi degli interessati riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 24 giugno 2017 ;
IL SEGRETARIO f.f.
IL PRESIDENTE f.f.
f.to Avv. Carla Broccardo
f.to Avv. Francesco LogriecoDepositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense,
oggi 28 dicembre 2017.
LA CONSIGLIERA SEGRETARIA
f.to Avv. Rosa Capria
Copia conforme all’originale
LA CONSIGLIERA SEGRETARIA
Avv. Rosa Capria